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’O surdato ’nnamurato conquista l’Inghilterra

‘O surdato ‘nnammurato, la canzone che da trentasei anni è l’inno del Napoli, ha conquistato l’Inghilterra. Aniello Califano, poeta sorrentino di fine Ottocento, scrittore a getto continuo di canzoni di successo, non avrebbe certo immaginato che il suo inno, ‘O surdato ‘nnammurato, appunto, musicato dal napoletano Enrico Cannio nel 1915 per raccontare la tristezza di un soldato che combatteva al fronte e soffriva per la lontananza della sua donna, avrebbe un giorno conquistato l’Inghilterra.
La canzone, che da trentasei anni è diventata l’inno del Napoli, cantata ancora una volta a squarciagola nello stadio San Paolo da sessantamila tifosi azzurri a conclusione del match vittorioso contro il Manchester City, sta spopolando nelle cronache britanniche della partita di martedì sera. La sonorità dello stadio napoletano ha impressionato gli inventori del football che pure possono vantare, nei loro stadi di architettura ardimentosa e prati verdissimi, sensazionali e possenti cori di incitamento. Ma ‘O surdato ‘nammurato non è un coro di incitamento, non è una marcia, non ha un ritmo di guerra e di sfida. È una canzone d’amore e una squadra come il Napoli, di una città d’amore come Napoli, non potrebbe essere accompagnata diversamente nelle sue imprese. È un inno d’amore e di fedeltà assoluta. È un canto appassionato che sgorga da cuori innamorati e fedeli a una maglia e a una squadra. È un sonoro “commento” di felicità nelle giornate gioiose. Cantato nel catino del San Paolo e negli stadi d’Europa, ‘O surdato ‘nnammuratosta sorprendendo ed emozionando tutti gli appassionati di calcio. Ormai rivaleggia in popolarità con la stessa “musichetta” della Champions che apre le partite della competizione europea. E lo stadio napoletano è diventato un paradiso abitato da angeli, da angeli canori. Ma quando è nato, negli stadi, questo coro sentimentale, questo vento sonoro di felicità, oj vita, oj vita mia, quando è diventato l’inno del tifo azzurro? Motivo appassionante e straziante è sgorgato dalla gola dei tifosi napoletani trentasei anni fa. Per un miracolo dell’inventiva napoletana, per una spontanea orchestrazione. Era il 7 dicembre 1975 e allo stadio Olimpico di Roma si giocava Lazio-Napoli. La squadra azzurra trascinava in trasferta migliaia di fedelissimi. Era il Napoli ruggente di Vinicio che, l’anno prima, aveva sfidato la Juventus per lo scudetto. A Roma quella domenica di dicembre c’erano trentamila napoletani. E il Napoli era nelle primissime posizioni della classifica. La partita si mise subito bene per i colori azzurri perché andò immediatamente in gol Gigi Boccolini, fedele scudiero di Vinicio. Quel gol decise il match e fece schizzare il Napoli in testa al campionato. Fu alla fine di quella partita che, per un incantesimo di cuore, un’ispirazione spontanea, una gioia non diversamente esprimibile e un accordo misterioso, i trentamila napoletani dell’Olimpico cominciarono a cantare Oj vita, oj vita mia. Non l’avevano programmato, non s’erano dati la voce, non si è mai saputo chi cominciò a cantare, e fu una delle improvvise, geniali e immancabili trovate di un popolo e di una tifoseria inimitabili. Quel giorno a Roma ‘O surdato ‘nnammurato divenne l’inno dei tifosi azzurri. Ha accompagnato i sette anni di felicità di Maradona, è tornato prepotentemente con la squadra irriducibile di Mazzarri. E lascia gli inglesi carichi di meraviglia. Conoscevano il Napoli, Lavezzi e Cavani, hanno scoperto ‘O surdato ‘nnammurato, la forza sentimentale di un popolo che spinge la sua squadra di calcio cantando una canzone d’amore. (da Repubblica)
Mimmo Carratelli

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