Nei giorni acuti della crisi un club italiano, scortato da sindaco e vicesindaco, si misura in Europa con la sconfinata ricchezza di un emiro. Supera la fantasia degli uomini. È la magia del calcio: Manchester City-Napoli, stasera due mondi s’incontrano. Si sente dire: che sfortuna, il Napoli è finito nel girone spietato. Signori, è la Champions. Non sempre s’incrociano le Far Oer, isole di pecore e vichinghi. Il sorteggio segue un indirizzo tecnico: tende a rinviare gli scontri fra i migliori. Ha pescato i tre rivali in tre urne diverse: dalla prima, l’élite, ecco il Bayern, dalla seconda il Villarreal, dalla terza il Manchester City. Il Napoli si aspettava dalla terza fascia il Basilea, il francese Lilla, l’Olimpiakos greco, al limite i biolorussi del Bate Borisov, ma ha anche rischiato con Bayer Leverkusen, Ajax, lo Zenit di Spalletti. Per un sottile paradosso, è andata male anche al Manchester City. Dall’urna dei peggiori, la quarta, è schizzato il Napoli che è più forte di quanto dica il suo passato recente. Ha infatti un ranking Uefa modesto, solo 21,111 punti, sintesi degli ultimi 5 anni in Europa, ma viola la verità. È squadra del momento in Italia, micidiale il congegno offensivo: Cavani, Lavezzi e Hamsik sono un terzetto da 50 gol a stagione, i primi due richiesti da Roberto Mancini, stima di mercato almeno 30 milioni ciascuno, quanto di solito paga Mansour Bin Zayed, sceicco di Abu Dhabi, negli Emirati arabi fratello del sovrano Khalifa. Uno dei signori della terra: petrolio, quote in una dozzina di banche tra Usa, Inghilterra (Barclays) e Las Vegas, catena di alberghi, affari nel settore energia, in Italia il 35% della Piaggio e il 5% della Ferrari. Un patrimonio da tremila miliardi di euro che fa impallidire ma anche riflettere: perché gli arabi vanno a far grandi i club inglesi? Flavio Briatore ha vinto con i Queen’s Park Rangers in Second League ed è fuggito. Italiani ed emiri sono troppo distanti distanti nell’alta finanza come nel calcio. Ma stasera? Il Manchester City, primo con 12 punti su 4 gare al pari del Manchester United di Alex Ferguson, è il trionfo del calcioimpresa: investe e recupera dagli sponsor, vola alto. Roberto Mancini, sottratto alla fragilità emotiva di un’Inter che vinceva sprecando milioni, ha successo. L’intelligenza tattica è moderno “made in Italy” nel calcio. Lo staff garantisce la migliore condizione. Naturale fair play: garbato e arguto nei rapporti con l’esigente stampa britannica. La moglie Federica e un sarto napoletano che vola tra Milano, Parigi e Londra completano lo stile del personaggio. Lealmente confida un vantaggio: il suo City è alla quinta ufficiale della stagione, il Napoli alla prima. Simili le strategie. Una sola punta, che precede un balletto di fantasisti. Tecnica, ricerca degli spazi, velocità negli inserimenti. Il Manchester in più ha una gamma ampia (se non c’è Dzeko, entra Tevez), l’euforia di Aguero dopo i tre gol al Wigan, l’esperienza. Insidioso lo spagnolo Silva, un esterno di piede sinistro che parte da destra e taglia la trequarti. Attento Maggio, dovrà forse sbarragli il passo con rapide diagonali. Lenta la difesa a 4 degli inglesi, opaca quella a 3 del Napoli a Cesena. Ci vuol coraggio per insistere sulla formula, è un bel test. Cannavaro e forse Aronica sulla punta, Campagnaro pronto a staccarsi per afferrare una delle tre mezzepunte, una giostra da fermare. Scaltri, tecnici e rapidi, niente di peggio che lasciarli correre e inventare. Finalmente si rivede Gargano, ora dicono tutti che è il partner ideale di Inler. Anche quelli che l’avevano già liquidato. In Italia il calcio non è ricco, ma diverte sempre. È senza memoria.
Antonio Corbo (Repubblica)
La giostra inglese test per la difesa a tre
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