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Il fair play finanziario tutela i bacini di tifosi ampi

Cari amici Napolisti, di ritorno dalle ferie estive, e in una fase di rientro lento al lavoro, ho cercato di capire meglio il funzionamento e il significato di questo magico mondo del fair play finanziario. Preciso, prima di cominciare, la volontà di sintesi ha fatto premio rispetto alla necessità di approfondimento che l’argomento richiederebbe.

Ripercorro brevemente l’iter. Il Comitato Esecutivo dell’UEFA  nel maggio 2010, analizzati i bilanci di oltre 650 club in giro per l’Europa, rilevò che il 50% di loro riportava perdite ogni anno mentre il 20% gravi perdite, spendendo il 120% rispetto alle loro entrate ogni anno.

Per proteggere il business calcio lo stesso organismo cercò di dettare delle linee guida che tendessero, nel tempo, a riequilibrare la stabilità economica finanziaria dei club. I club sarebbero stati valutati su una base di rischio, che tiene conto dei debiti, dei livelli salariali e dei seguenti pilastri principali:

  • Obbligo di pareggio del bilancio: i club non devono spendere più di quanto ricavato per ogni esercizio sociale
  • Nessun debito arretrato durante la stagione, verso i club, i dipendenti e/o le autorità sociali o fiscali
  • Fornitura di informazioni finanziarie per il futuro, in modo da garantire che i club possano adempiere agli obblighi successivi

Fu stabilito anche un corridoio temporale  per il raggiungimento di tali obiettivi. Si decise che il break even tra ricavi e spese si dovrà obbligatoriamente raggiungere nel 2018/2019.

Medio tempore si decise che nel triennio 2012-2015 le perdite, cioè l’eventuale eccesso delle spese rispetto ai ricavi, non dovranno superare il valore complessivo di 45 milioni, con una media di 15 milioni all’anno, a condizione che le perdite riportate fossero coperte annualmente da apporti in conto capitale dei soci stessi. Nel trienno 2015-2019 il tetto massimo complessivo delle perdite sarà di 30 milioni, sempre a condizione che esse siano  coperte con capitale di rischio.

Allo scopo di mitigare tale norma furono inserite alcune esenzioni ed esclusioni di computo. Si decise  di escludere dal computo dei costi quelli generati dai calciatori under 18 presenti in rosa e quelli inerenti i costi derivanti dagli investimenti per la costruzione degli stadi di proprietà dei club.

Fin qui la parte tecnico/legale. Ma quale è la ratio che sottende tale norma? E quale interessi vorrebbe tutelare? Lungi dall’essere domande retoriche, credo che il vero nocciolo della questione sia legato alla risposta che sapremo dare alle domande sopra presentate.

Penso che da un’analisi complessiva della norma si sia cercato di proteggere i club europei storici dall’assalto dei nuovi ricchi europei, spingendosi a creare una elite di squadre che possono competere ad altissimi livelli e una serie di squadre serbatoio di queste ultime. Mi spiego meglio. Il pareggio di bilancio si ottiene, come noto, agendo su due leve: una esterna alla disponibilità della società che porta ad aumentare i ricavi e l’altra nella disponibilità della stessa che fa diminuire i costi. Detto così è semplice ma in effetti i club, e tutte le imprese del mondo, fanno i conti con gli stessi problemi: fino a quanto posso spingere per ottenere maggiori ricavi? Come dimensiono i miei costi di impresa, sulla base dei ricavi presunti?

Allora tutto sta a capire quali sono e come sono composti i ricavi che una squadra di calcio può conseguire.

Le macro categorie sono facilmente classificabili in questo modo:

  • Ricavi da gare
  • Diritti da tv e media
  • Ricavi da sponsor
  • Ricavi da gestione parco giocatori
  • Merchandising

Ricavi da gestioni immobiliariA ben notare si può pensare di spingere in alto i ricavi operando su tutte le singole macrocategorie, ad un’unica condizione: ci debbono essere i Clienti, ops i tifosi. Ecco quindi spiegato perché la ratio del fair play finanziario e quella di proteggere i club storici: sono quelli che hanno più tifosi e quindi quelli che hanno più probabilità di avere elevati ricavi. Avere ricavi elevati implica anche e soprattutto poter dimensionare i propri costi verso l’alto. Significa quindi poter comprare i calciatori che ti fanno vincere, che hanno appeal (e quindi ti fanno vendere) e che in definitiva alimentano il circuito virtuoso dei ricavi creando nuovi tifosi.
Le squadre che oggettivamente non hanno un elevato bacino di tifosi si debbono progressivamente rassegnare a diventare novelle “fattrici” di calciatori da portare ai top team.
Ora una domanda che vuole anche essere la chiusa di questa lunga (e spero non mortifera) spataffiata: a quale parte di squadre vogliamo ascrivere il nostro amato Napoli: alle fattrici o ai top team?

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