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Non si gioca, i veleni di un sistema in crisi

Prima di tutto non chiamiamolo sciopero, questa è una serrata. Scioperano i presidenti, non i calciatori. E l’argomento non è più solo di principio come fino a pochi giorni fa, sull’assistenza da dare ai giocatori in soprannumero, ma anche di purissima sostanza: i presidenti non vogliono pagare la tassa di solidarietà al posto dei loro giocatori. Ne hanno il diritto? Se hanno fatto i contratti al lordo, certamente. Io pago quel che devo, il resto tocca a chi riscuote.Se qualcuno ha invece fatto i contratti al netto nella speranza di interventi sulle tasse che non ci sono stati, deve garantire quel netto. Sarebbero circa la metà le squadre che stanno pagando al netto e che dovrebbero accollarsi quella tassa. Ma come si può mettere in un contratto collettivo nazionale una regola che assicuri salvezza da una legge che ancora non c’è e che ogni giorno cambia nella mente stessa di chi l’ha inventata? Né sembra questa una regola di nobiltà nazionale, sembra più un problema da risolvere all’interno di ogni singola azienda. Se tutto questo ha l’evidenza che sembra, allora cosa sta davvero accadendo? C’è prima di tutto una stanchezza di regole da parte dei grandi club. Vogliono liberarsi dalle tutele della Federazione e lasciare il calcio a chi lo finanzia. Vogliono fare quello che vogliono, gestire l’intero club-calcio e non una società per volta. È un vecchio progetto che la debolezza attuale ripropone spontaneamente. Non c’è dubbio che qualcuno punti a disarcionare Abete. De Laurentiis l’ha chiamato animale preistorico, la Juve non gli perdona lo scudetto del 2006, Lotito è in guerra aperta con tutti. Ma è anche sicuro che la Lega non ha un progetto di rivolta concreto, un nome comune su cui puntare. Il limite di avere 20 padroni è questo, non ce n’è mai uno vero. I colpi che partono sono rancori isolati, Abete per i presidenti è un rumore di fondo, non il nemico. Quello che questa serrata significa è l’inizio di un rapporto nuovo con i calciatori. La stanchezza per una dittatura sempre subita e per giunta pagata. Ora che i soldi sono finiti, è finita anche l’eleganza della sopportazione. Si vuole far capire che non c’è più paura, facciano pure lo sciopero, non si può dipendere sempre da un tabù. Vogliono dire che ora comandano loro. Non è la nascita del terzo stato, è il ritorno del primo. E i calciatori? Guardano allibiti, subiscono il contropiede, i migliori sentono che un’epoca è finita. Ma manca ancora la nuova. È lì l’ultimo spazio.
Mario Sconcerti
(Corriere della Sera)

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