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La catena degli errori e la società civile

In questi giorni la sensazione che si avverte a Napoli e nella sua popolosa provincia è quella di camminare sull’orlo del baratro; i rifiuti per strada crescono a dismisura e spesso vengono sparsi da cittadini protestatari improvvisati o bruciati da piromani imbecilli, con odori nauseabondi che si spargono nell’aria. L’estate arrivata rende, inoltre, concreti i rischi da più parti paventati di infezioni e malattie. Spero di cuore di sbagliare clamorosamente, ma non credo che la soluzione del problema sia imminente e sono molti i segni che confortano il mio pessimismo.
È importante, però, cercare di capire perché siamo arrivati a questo punto. E non tanto per autoinsignirsi del merito di averlo previsto e denunciato in plurime occasioni proprio su questo giornale (non ci voleva alcuna bravura né capacità divinatoria per capirlo!) quanto perché la comprensione dei fatti oggettivi può aiutare, forse, a trovare il bandolo della matassa. Per cercare di fare chiarezza penso non abbia senso tornare al momento in cui inizia la gestione dell’emergenza (metà degli anni 90!), ma ripartire da ciò che è avvenuto negli ultimi tre o quattro anni, quando – ne sono convinto – la soluzione definitiva era a portata di mani e non fu saputa (o voluta) cogliere. Il primo passaggio da ricordare è la legge regionale voluta dalla giunta Bassolino che provincializzava la gestione dei rifiuti; avrebbe dovuto responsabilizzare ogni provincia in modo che fosse autosufficiente nella raccolta e nello smaltimento dei rifiuti; a molti parve da subito un errore anche se gli effetti non si sarebbero nell’immediato avvertiti; la legge non era operativa perché vi era ancora la gestione commissariale; l’errore era però evidente, la provincia di Napoli, che produce quantitativamente rifiuti tendenzialmente pari a quelli delle altre 4 province messe insieme, ha problemi di densità abitativa e di territorio che rendevano obiettivamente difficile individuare siti per nuove discariche, queste ultime necessarie fino a quando il ciclo virtuoso si sarebbe attivato. Ma è con l’emergenza del 2007 -2008 che la soluzione è sembrata a portata di mano; la maggioranza di centro destra vinse le elezioni anche mostrando cosa era diventata Napoli ed il premier promise, fra i primi impegni del suo mandato, di ripulire la città, utilizzando il capacità ed il carisma (allora intonso) di Bertolaso. Venne varato un decreto legge molto rigoroso e duro che si fondava, per sintesi, sull’apertura di nuove discariche definite siti militari (si individuarono i siti anche per quelle future fino a quando il sistema non fosse andato a regime), su una previsione di raccolta differenziata spinta e con l’indicazione di pesanti sanzioni (lo scioglimento dei consigli comunali) per gli amministratori che non raggiungessero gli obiettivi, sull’ultimazione del termovalorizzatore di Acerra in tempi rapidissimi e sulla previsione della costruzione di due (o persino tre) altri inceneritori. Gli effetti del decreto si fecero positivamente sentire, la città venne ripulita e Berlusconi festeggiò in Piazza Plebiscito il risultato, facendo finta di ramazzare una strada già pulitissima. E in quel momento, con un consenso in città e nel paese a livelli mai raggiunti, Berlusconi avrebbe potuto trasformare il miracolo del momento in quello definitivo, se davvero si fosse vigilati sul raggiungimento degli obiettivi prefissi. Ed invece le cose sono andate in modo diverso; è noto a tutti che la raccolta differenziata non è partita e gli amministratori colpevoli non sono stati mandati a casa; Bertolaso pubblicamente ha confessato di avere portato in Consiglio dei ministri un corposo elenco di comuni da sciogliere ma il provvedimento non fu adottato perché vi erano giunte con colori omologhi a quelli del governo; il termovalorizzatore di Acerra ha cominciato a funzionare ma lo fa poco e male ed è comunque insufficiente; degli altri non si ha notizia se non per i continui annunci di inizio lavori; quello di Salerno che sembrava prossimo si è impantanato in una lite fra il sindaco di quella città ed il presidente della provincia; alcune delle discariche previste per legge sono state eliminate (con decreto legge del governo nel 2010) per ragioni in parte incomprensibili quando è scoppiata la rivolta a Terzino. Nel mezzo di tutto questo, il Governo – a cui forse nessuno aveva spiegato cosa stava davvero accadendo – ha dichiarato cessata l’emergenza, ma era chiarissimo che non essendosi avviato il ciclo previsto ed in assenza di nuove discariche la provincia di Napoli sarebbe andata al collasso. Ritornati all’ordinario, non si è fatto assolutamente nulla da parte degli enti locali, se non correre incoscientemente a 200 all’ora verso l’attuale emergenza. E adesso? Escludendo di essere in grado di dare consigli o suggerire soluzioni, da spettatore mi pare di assistere a scene già viste; la città e la sua popolazione (compresa quella borghese “illuminata”) ha conferito con il voto anche recente una delega ampia a governare ed ora assiste a quel che accade un pò da spettatrice passiva, un po’ inscenando proteste sconclusionate che finiscono per peggiorare la situazione; le istituzioni locali, fra cui è divisa in modo abbastanza cervellotico la responsabilità per la gestione e lo smaltimento, si preoccupano di indicare improbabili piani, addossando alle altrui omissioni o al contesto ambientale la mancata riuscita, ma non indicano, in verità, soluzioni complessive e durature, destinate a valere per tutta la Provincia e la Regione; il governo, poi, è in una situazione di oggettiva debolezza e troppo dipendente da un partito localista per far sperare che adotti il promesso provvedimento che consenta di portare i rifiuti fuori Regione. C’è da sperare allora che anche grazie alla moral suasion del presidente della Repubblica si trovi una qualche soluzione condivisa, lasciando da parte piccoli egoismi e logiche di politica e di consenso di breve periodo; il disastro di Napoli non è solo di Tizio o di Caio, ma è la sconfitta di una Nazione che dimostra di non essere in grado di risolvere un problema ormai ventennale; ma c’è da augurarsi anche che l’aspettativa salvifica da parte dei cittadini lasci spazio a comportamenti coerenti e partecipativi reali; non c’è e non ci sarà nessun demiurgo che trasformerà la Città nel paese delle meraviglie.
Raffaele Cantone (da Il Mattino)

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