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Sinistro delizioso, ma Lamela non mi ha entusiasmato

Sabato sera, lontano dalla metropoli, a tutti i familiari contemporaneamente si scaricano le pile causa dodici ore sfrenate e senza soste. Solitudine e meraviglioso silenzio..Ci vorrebbe proprio una partita…
Certo, di questi tempi è ardua impresa, e invece il palinsesto di Sportitalia mi regala una splendida sorpresa, in diretta trasmette River Plate – Lanus per l’ultima giornata del campionato argentino di Clausura. Non avrei nessun particolare motivo per emozionarmi, ovviamente per quanto mi riguarda l’unica squadra di Buenos Aires è il Boca e d’altronde non credo ci sia bisogno di spiegare perché sei anni fa sono andato in pellegrinaggio alla Bombonera e certamente non al Monumental. L’interesse verso la contesa però cresce per la presenza in campo di Erik Lamela, talento non ancora ventenne del River verso il quale il Napoli sembra esprimere più di una semplice infatuazione. Sgombro subito il campo: nonostante il ragazzo abbia anche espresso un colpo non proprio tipico del proprio repertorio (il goal, tra l’altro con l’aiuto della mano, omaggiando a suo modo il venticinquennale del goal più famoso della storia del Calcio), non mi ha entusiasmato. Ha un sinistro delizioso ed un destro non inutile, ma sabato sera non ha praticamente mai fatto la scelta giusta, né con la palla al piede né senza. Non è velocissimo e non aggredisce gli spazi, anche se difende la palla con il corpo e non è completamente muliebre nel suo atteggiamento in campo. Certo, non basta una partita per valutare un giocatore, e comunque vanno fatte anche altre considerazioni che attengono alla qualità della squadra in cui è inserito il giovane (quest’anno il River è squadra davvero scarsa), la delicatezza della partita e tutte le altre variabili di sistema.
E’ovvio però che da un giocatore inseguito da squadre di mezza Europa (quella che conta nel panorama calcistico) e valutato con una quotazione in grado di drenare gran parte del budget degli acquisti ufficiosamente stanziato per quest’anno dal Presidente de Laurentiis mi sarei aspettato una presenza in grado di incidere molto di più sulle sorti della partita e dell’intero campionato del River (partita persa e spareggio per non retrocedere). E’facendo queste riflessioni sul giocatore che mi è venuto in mente quanto sia difficile il mestiere dell’osservatore e quanto possano essere ingenerose le critiche che periodicamente, a partire da me, vengono rovesciate sul settore tecnico del Napoli.
Il consolidamento di un team di osservatori fu salutato da tutti, ormai più di un anno fa, come una sostanziale evoluzione societaria ed una soluzione di continuità netta nei confronti della gestione manageriale precedente, quella di Pierpaolo Marino, che non amava certamente circondarsi di collaboratori. Tutti pensammo che il modello in via di definizione potesse avvicinarsi a quello dell’Udinese, capace di individuare talenti a ripetizione e di costruire su questi la propria fortuna aziendale e di squadra. Sta di fatto che in un anno di attività agli occhi dei tifosi il contributo degli osservatori è stato praticamente nullo, traducibile nel reclutamento dell’effimero Dumitru. Oggi acquisisco consapevolezza della difficoltà del ruolo. Nella stessa partita, ad esempio, in panchina nel River Plate sedeva estremamente annoiato un altro talento piuttosto conosciuto, tale Funes Mori, per il quale molte squadre italiane l’anno scorso entrarono in competizione con disponibilità ad investire non pochi quattrini. Il ragazzo quest’anno non ha praticamente mai visto il campo. Tutto questo ha aperto il campo ad un’ipotesi estrema. E se la fantomatica competenza che gli operatori del mondo del calcio sbandierano con grande frequenza e che rappresenta una discriminante tangibile con cui gli stessi certificano l’esistenza del loro micro mondo e la relativa appartenenza alla fine si traducesse semplicemente nell’ineffabile fattore “C”?
Lo stesso Pierpaolo Marino commentava spesso la incredibile sequenza che gli aveva consentito di portare a Napoli Lavezzi, Hamsik e Gargano come frutto di un evidente caso fortuito, ipotesi d’altronde corroborata da sequenze altrettanto nutrite di brocchi pagati a peso d’oro che ancora ingolfano il nostro conto economico. La conclusione è ardita e forzata, e d’altronde la capacità dell’Udinese e del Palermo di acquisire talenti che con percentuali invidiabili si trasformano in fuoriclasse (o, almeno, in dignitosissimi protagonisti dei campionati di massima serie), così come l’abilità del Catania di costruire squadre in grado di salvarsi con netto anticipo formando il roster con giocatori semisconosciuti provenienti dal Sudamerica sembrano andare in senso diametralmente opposto.
Allora il punto forse è un altro.
E come al solito attiene alla dimensione ideale che la Società ha intenzione di acquisire nel presente e soprattutto nel futuro. Un problema che sentirei di condividere con la tifoseria del Genoa, la cui filosofia gestionale al pari della nostra risente di poca linearità. I risultati virtuosi provenienti dalla dotazione di una rete di osservatori sono funzione di scelte aziendali convinte (è inutile per una società dal budget limitato puntare un giovane di 19 anni che già costa 15/20 mln di €), tempi medio-lunghi e budget “dedicati” non irrisori. Altrimenti la rete non serve e si trasforma in meri esercizi del caso.
di Caligola

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