«È vero, mi sento un po’ vecchio. Fa una strana sensazione pensare di avere 60 anni». L’ex bandiera del Napoli, Giuseppe Bruscolotti festeggia domani il suo compleanno. Il terzino di ferro (o meglio, palo ‘e fierro) che ha conquistato il cuore dei tifosi azzurri, arrivò a Napoli che aveva 21 anni e andò via nel 1988, quando decise di ritirarsi dopo 511 partite tra campionato e coppe, 387 gare tutte in serie A.
Ferlaino l’ha inserita nella sua squadra ideale? «È un bel regalo di compleanno, anche perché il rapporto con l’ingegnere non è stato mai buonissimo, pur se sempre molto leale. Io ero il portavoce dello spogliatoio, lui il presidente: spesso eravamo in disaccordo». Una vita con la maglia azzurra.
«Ho ben vivo in mente il primo giorno, nel luglio del 1972, quando sono salito sul pullman e ho visto Vavassori, Improta e Cané. Giocai subito da titolare. Chiappella, l’allenatore, mi faceva marcare i più forti: una domenica Riva, l’altra Chinaglia. Sempre pronto, nessun problema. Un incosciente.
Avrei affrontato chiunque». Sempre stato marcatore? «Sì, fin da piccolo. Le prime scarpe coi tacchetti le ho avute a sei anni. Sono cresciuto sui campi della Sassanese, la squadre del mio paese, nel salernitano. Giocavo in difesa. Sempre con la maglia numero 2». A proposito, le è dispiaciuto che il Napoli non abbia ritirato la sua maglia? «Non tantissimo, io non credo a iniziative di questo genere: per me non è questo un dramma» Il discorso delle bandiere.
«Io resto orgoglioso di aver giocato 511 partite con la maglia del Napoli. A giudicare dalle parole d’affetto e di stima che la gente ancora mi dedica, significa che le persone e i tifosi nelle bandiere credono ancora». Tra l’altro, lei ha rischiato di essere la bandiera della Roma. «Quando ero al Sorrento, il mio allenatore Nick D’Alessio mi disse che mi volevano i giallorossi.
La Roma esitò, poi arrivò il Napoli». E lei scelse la maglia azzurra. «Io non scelsi nulla. A quel tempo la volontà dei giocatori contava zero, facevano tutto le società e il Napoli offrì di più». Nel frattempo era diventato il capitano del Napoli. «Andò via Juliano nel ’78 e io ne raccolsi l’eredità.
Lasciai la fascia solo per darla a Maradona, nel 1985. Una delle mie decisioni migliori». Nel Napoli perse un menisco e rischiò due volte la vita. «Un’epatite virale mi bloccò per dodici domeniche e ancora malato giocai contro la Sampdoria. Poi ebbi una commozione celebrale dopo uno scontro con Filardi, un giovane compagno di squadra: quella volta Maradona mi fu vicino tutta la notte».
In 17 anni ha vinto un solo scudetto. «Un po’ poco, vero? Eppure ho giocato in squadre forti come quelle di Vinicio e Marchesi, gli allenatori che con Pesaola ho più amato». Com’è il suo bilancio? «Avrei preferito vincere qualcosa in più. Ci sono tre episodi che mi pesano ancora: lo scudetto perso contro la Juve per il gol di Altafini, l’eliminazione in Coppa delle Coppe contro l’Anderlecht, battuto all’andata con un mio gol, e la sconfitta in casa contro il Perugia per un’autorete di Ferrario».
E la Nazionale? «Argomento doloroso: Valcareggi e Bearzot mi hanno sempre ignorato. Con Bearzot litigai quando ero in ritiro con l’under 23: giocavano tutti tranne io, che ero titolare nel Napoli. Non mi chiamò più». Da grande che vorrebbe fare? «Sogno un incarico nel Napoli. Sono una dei pochi capitani-bandiera del calcio a essere stato dimenticato dal club. Prima da Ferlaino e poi da De Laurentiis. Eppure ho solo 60 anni..» napolimagazine.
Bruscolotti: “Sogno un incarico nel Napoli”
ilnapolista © riproduzione riservata