ilNapolista

Polito su Napoli e le colpe sempre altrove

Lunedì pomeriggio Napoli avrà un sindaco nuovo e nulla più. In questa campagna elettorale si è infatti risparmiata ogni riflessione critica sulle ragioni per cui è ridotta come è ridotta. Questo è forse l’unico ballottaggio d’Italia nel quale entrambi i candidati sono di opposizione. Condizione perfetta perché la città possa incolpare dei suoi guai chiunque (gli errori di Bassolino, la camorra di Casal di Principe, il governo di Roma, la Lega del Nord) e assolvere solo se stessa.
Niente di quello che è successo a Napoli in questi anni è neanche minimamente responsabilità dei napoletani. La soluzione dei suoi mali risiede ancora una volta altrove, in un luogo misterioso dove si coltiva quello che lo scrittore Scotto di Luzio ha definito, perennemente inseguito dall’immaginario dei miei conterranei, come risarcimento dell’ultimo fallimento. Che oggi si chiama prosaicamente monnezza, ma che una volta fu colera, un’altra terremoto, un’altra ancora guerra di camorra, e così via indietro nel tempo. Poiché entrambi i candidati devono offrire non un programma e una giunta, ma la promessa di una palingenesi, si spiega la cattiveria estrema dello scontro che ha contagiato strade e piazze, il quantum di violenza che vi si annida, il fuoco che troppo di frequente brucia. Certo, anche a Milano la battaglia infuria, e i colpi bassi non si risparmiano. Ma a Milano si combattono pur sempre due metà della borghesia cittadina, e la questione è quale dei due candidati la incarni meglio. A Napoli di borghesia non ce n’è neanche una intera, l’imprenditore Lettieri impallidisce di fronte alla storia imprenditoriale della famiglia Moratti, e l’uomo di legge de Magistris arrossisce di fronte alla scienza giuridica della famiglia Pisapia. Dunque la linea divisoria passa altrove, sul fronte di sempre. Quello che contrappone la città in cerca di protezione alla città ansiosa di ribellione. Protezione la vogliono coloro — e sono tanti — che si affidano da tempo a un’economia assistita, al buon cuore di Roma, allo sguardo paternalistico del governante del momento. Tutti quelli che si sono accontentati di vivere di denaro pubblico, perché di produrre reddito non sono capaci, o non ne hanno voglia. Questa città che dipende da Roma è interpretata da Lettieri, la cui stessa vicenda imprenditoriale si intreccia con l’intervento pubblico. La storia che lui sia il candidato indigeno della camorra e di Cosentino è una balla spregiudicatamente cavalcata dal pm di Why not. Lettieri è piuttosto il candidato di Letta. La sua idea di Napoli è costruita a Roma. Infatti prevede una legge speciale e poteri speciali elargiti da Palazzo Chigi, e forse anche Bertolaso assessore. Così si spiega il paradosso per cui il candidato del centrodestra è più popolare nei quartieri popolari, dove il bisogno di protezione sociale è maggiore. Ma questa è anche la sua vera debolezza: se vince Lettieri, Napoli non potrà sperare in altro che in Berlusconi. Che non sembra avere più né l’energia, né il tempo, né i soldi pubblici necessari per occuparsene. L’altra metà della città, quella che invece trova il suo «altrove» nella ribellione, che è sempre pronta alla jacquerie anche se ormai solo ad uso delle telecamere, è costantemente in cerca di un vendicatore con le mani pulite. Salvo poi farlo fuori, proprio come avvenne con Masaniello, appena capisce che di quelle belle mani pulite il suo eroe non sa che farsene (anche la Jervolino giocò la carta populista del cavaliere senza macchia contro i poteri forti, e per due volte fu eletta, e Napoli non è mai stata peggio di come l’ha lasciata). Questa rabbiosa illusione di vendetta contro le forze oscure che avrebbero rovinato Napoli a dispetto della maggioranza dei napoletani per bene infiamma oggi il ceto medio impulsivo (di riflessivo in città c’è rimasto poco), e s’inebria di de Magistris specialmente nei quartieri borghesi del Vomero, di Chiaia, di Posillipo, i quali trovano nella sua promessa di pugno di ferro un’eco di quella destra missina che qui spopolava, e che nel ’93 portò Alessandra Mussolini a un passo dalla poltrona di sindaco. Tra richiesta di protezione e ansia di ribellione, vincerà il migliore; anzi, il peggiore. Purché non si dica, lunedì sera, che è nata una nuova Napoli. Perché quella che si è vista in queste due settimane, Gigi D’Alessio e Roberto Saviano compresi, è maledettamente uguale a se stessa.
Antonio Polito (Corriere della sera)

ilnapolista © riproduzione riservata