La Procura federale si chiede come mai la Juventus non abbia rimosso i suoi collaboratori che intrattenevano rapporti con tifosi in odore di ‘ndrangheta.
I tre filoni in cui il club è coinvolto
Il Corriere della Sera pubblica un commento alla vicenda Juventus-ultras-‘ndrangheta. Scrive delle tre indagini. Di quella penale, in cui “la Juventus non è indagata ma solo testimone”. Di quella «politico» alla commissione parlamentare Antimafia. E infine di quella sportiva. E si sofferma su questa.
Giustamente il Corsera, come scritto abbondantemente dal Napolista, condotto dalla procura della Federcalcio. Sottolinea come
ai fini della giustizia sportiva gli incontri fra i vertici della Juve e personaggi legati alla criminalità organizzata non sono considerati interessanti. Al massimo possono costituire un’aggravante, ma che non sposta l’accusa di partenza: la Juve adottava una strategia precisa per trasferire ad alcuni capi ultrà la tutela dell’ordine pubblico nelle curve così da non avere grane sugli spalti. In cambio forniva abbonamenti e biglietti violando norme sulla sicurezza e favorendo il bagarinaggio (tagliandi ceduti senza documenti di identità e in numero superiore a quello consentito).
Perché la Juventus non ha rimosso i suoi collaboratori?
“È la tesi della Procura federale guidata da Giuseppe Pecoraro – aggiumge il quotidiano di via Solferino che prosegue -. Perché Agnelli non ha rimosso quei suoi collaboratori che intrattenevano rapporti con tifosi in odore di ‘ndrangheta? Risposte che i legali bianconeri dovranno fornire quando inizierà il dibattimento. Per evitare la multa e l’inibizione del presidente, che farebbe parecchio rumore e non solo a Torino”.