La sentenza emessa dal Tribunale di Lecce spiega che l’acquisto fu per uso personale e quindi l’illecito prefigurato è di natura solo amministrativa
La battaglia contro il pezzotto ha terrorizzato il pubblico dall’utilizzare piattaforme pirata per vedere programmi tv, promettendo multe fino a 5 mila euro per chi utilizzava lo streaming illegale.
Bene in questi giorni sono arrivate altre tredici assoluzioni, dopo il processo con rito abbreviato su di un maxi giro di schede contraffatte, il cosiddetto “pezzotto”, di Mediaset Premium, Dazn, Sky, Disney Channel, in tutto il Salento.
Il giudice Roberta Maggio, nella giornata di ieri, ha assolto tutti gli imputati: «perché il fatto non è previsto dalla legge come reato», accogliendo l’istanza della difesa che sosteneva come si trattasse, al massimo, di un illecito amministrativo e non di un reato penale.
Il caso risale ad inizio anno, quando in 23 erano stati destinatari del decreto di citazione diretta a giudizio perché erano accusati di aver acquistato (in un periodo compreso tra il gennaio del 2017 al giugno del 2020) tramite bonifico o ricarica Post Pay abbonamenti pirata per la visione in streaming di programmi a pagamento criptati e coperti dal diritto d’autore di diverse società quali Mediaset Premium, Sky, Dazn, Disney Channel. Per nove di questi acquirenti l’assoluzione era stata pressoché immediata “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato”
Tutti se la sono cavata con una multa nemmeno tanto salata. Com’è possibile una cosa del genere? “Non esistono elementi tali – si legge nella sentenza – da provare che gli imputati abbiano partecipato alle attività di produzione e immissione in circolazione dei supporti informatici, né che li abbiano detenuti per immetterli in commercio. Emerge pacificamente che la detenzione dei supporti informatici fosse finalizzata a meri scopi di natura personale”.
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Nel caso di specie, scrive la giudice, riportandosi a diverse sentenze della Corte di Cassazione, in cui è pacifico che l’acquisto fu per uso personale, l’applicabilità della sanzione amministrativa di 154 euro, al cui pagamento oltretutto gli imputati hanno già adempiuto, esclude che la stessa condotta possa essere punita con il reato di ricettazione.
L’ultimo verdetto è giunto nel solco di altri sanciti dalla Corte di Cassazione in base a un concetto che ha fatto da spartiacque: l’uso illegale dei supporti informatici per fini personali e non per immetterli in commercio. Ecco perché l’illecito prefigurato è di natura solo amministrativa ed è escluso il reato di ricettazione (che comporta anche una condanna detentiva da uno a quattro anni).