Al Coni c’è paura di aver sparato troppo alto nel conto delle possibili medaglie. Si potrà sempre dare colpa agli arbitri. E ai paesi confinanti
Malagò, dietro gli attacchi agli arbitri c’è la costruzione di un alibi in caso di bilancio negativo (Repubblica)
Scrive Repubblica in un bel pezzo di ricostruzione dal punto di vista politico sportivo delle polemiche dell’Italia e del presidente del Coni alle Olimpiadi per qualche arbitraggio non soddisfacente.
Scrive Repubblica:
Non a caso ieri mattina, sbollita la rabbia della scherma e resosi conto forse del polverone che si era sollevato, Malagò ha provato ad aggiustare il tiro con una dichiarazione ufficiale sulla vicenda Senna balneabile: «Noi siamo con il Cio — ha detto, fermando le proteste dei nuotatori azzurri, indignati come tutti per quanto sta accadendo — assumeranno la decisione più giusta per la tutela degli atleti».
Malagò ha corretto il tiro
Ma allora, se la linea è quella, perché un’uscita così scomposta sul tema arbitraggi? Gli amici e i detrattori del presidente all’interno del Coni (sono tanti entrambi: in gioco c’è la sua riconferma per un biennio o un quadriennio alla guida del Comitato, comunque forzando i regolamenti) davano una lettura concorde.
Da un lato il Coni aveva bisogno di fare la voce grossa proprio per bloccare le polemiche che già erano partite: i nemici, in maniera strumentale, leggevano quelle decisioni sfavorevoli come uno scarso peso del Coni. E non banalmente come una decisione di campo, cosa che è un pezzo dello sport. Dall’altro lato, all’interno del Comitato olimpico italiano c’è anche la paura di aver sparato troppo alto nel conto delle possibili medaglie che la gestione Malagò ha sempre indicato come il metro del successo: se ne mancherà qualcuna, speriamo di no, si potrà sempre dare colpa agli arbitri. E ai paesi confinanti.
L’ira di Malagò per l’oro scippato a Macchi: «Una porcheria mai vista, una vergogna»
È rabbia Italia alle Olimpiadi dove la finale del fioretto è stata decisa dai due arbitri che sul 14 pari per ben due volte non se la sono sentita di assegnare la stoccata vincente all’azzurro che ha finito col perdere al terzo assalto.
Scrive la Gazzetta:
Il ct azzurro Cerioni indica il suo ragazzo, urla forte: «È lui il campione, è lui…». E gli ottomila del Grand Palais si spellano le mani, dandogli ragione. Ma non c’è nulla da esultare, la scena è quella di un furto sportivo clamoroso, un furto che vale una medagli d’oro alle Olimpiadi. «Una vergogna inaudita, una porcheria mai vista. Non si fa così, due volte non ha avuto le palle di dare la stoccata vincente a Filippo e alla terza ha completato l’opera. Pazzesco. Andiamo a fare reclamo, non servirà a nulla, ma è il minimo che possiamo fare». Giovanni Malagò, il presidente del Coni, non la tocca piano. Urla la sua rabbia insieme al presidente federale Paolo Azzi e a Cerioni. Scavalcano ogni transenna e divieti piazzati dagli steward.
Sono passati pochi minuti, ma la rabbia è ancora ai livelli massimi. L’Italia si ritrova nel medagliere con un oro in meno, quello assegnato dall’arbitro Huang di Tapei. Si è preso la scena, rovinando una finale bellissima, con stoccate fantastiche. Macchi aveva compiuto un capolavoro.
E lo stesso Malagò ha poi spiegato: «Ci sono sport dove si va con centimetro e cronometro dove andiamo meglio, altri dove è indispensabile avere dei giudici e mi sembra che uno li debba rispettare e comprendere. Senza entrare nel dettaglio della stoccata c’è un problema di fondo, è inaccettabile per la credibilità di questo sport che i due giudici venivano uno da Taipei e uno dalla Corea. Dice che sono stati estratti a sorte, ma se il primo è asiatico il secondo devi prenderlo dall’Europa. Non voglio dire che è cattiva fede, ma le polemiche hanno un loro fondamento. Siamo stanchi di questa situazione».