A La Stampa: «Casi trattati in gran segreto. Ci sono troppe cose che non tornano…gli allenatori tengono strette le borracce, danno da bere e se le riprendono».
Il tecnico di Nicolò Martinenghi, Marco Pedoja, è stato critico riguardo alla situazione dei 23 atleti cinesi risultati positivi al doping. La sua intervista a La Stampa.
Pedoja, coach di Martinenghi: «Quando incontro i cinesi urlo “dopati”»
Tra gli avversari di Nicolò c’era il campione del mondo cinese Qin Haiyang, uno dei 23 trovati positivi e poi scagionati per contaminazione da cibo; anche l’anno scorso ha espresso le sue perplessità sugli exploit, prima di questo caso specifico…
«Non è possibile che un atleta così bersagliato dai dubbi, al centro delle polemiche, sia così tranquillo. Questa è una condizione che si merita. I cinesi non fanno mai chiarezza, questi casi vengono trattati sempre in gran segreto, lontani dalla trasparenza richiesta».
Giusto avere sospetti?
«Ogni volta che ho incrociato qualcuno della squadra cinese qui ho detto “dopati” ad alta voce. Loro non reagiscono, dopo l’oro sono andato a esultargli in faccia. Non hanno detto nulla, compreso l’allenatore americano della ranista Qiantings, lo stesso che ci ha derisi ai Mondiali in Qatar quando Haiyang ha battuto Martinenghi».
La loro sembra una strategia precisa…
«Ci sono troppe cose che non tornano. Persino gli esercizi di forza che postano… Pan Zhanle, record del mondo dei 100 stile libero, tira su 4 chili… un atleta ne solleva almeno 35. In più gli allenatori tengono strette le borracce, danno da bere e se le riprendono. Perché? Hanno protestato per le accuse di doping che hanno rovinato la loro preparazione con continui controlli; se non hai nulla da nascondere, non ti innervosisci».