Ad altissimi livelli non ha ancora vinto niente, eppure sembra già imbattibile, inscalfibile. In Australia è nei quarti senza aver perso un set né giocato un tie-break
Sinner sembra Ivan Drago, raramente lo sport italiano ha avuto un Robocop come lui
È possibile definire Jannik Sinner uno degli sportivi italiani più forti di sempre ancor prima che abbia vinto qualcosa di realmente importante? Secondo noi sì. Oggi Jannik è numero 4 del mondo, non ha ancora vinto un torneo del Grane Slam né tantomeno ha mai giocato una finale. E si è aggiudicato “appena” un torneo Master mille. È vero. Ma è altrettanto vero che la crescita del tennista altoatesino è stata una crescita allo stesso tempo progressiva e inesorabile. Visibilmente, partita dopo partita, è cresciuto fino a diventare un tennista robotico. Sinner gioca un tennis da videogioco: rapido e potente. In parte ricorda Ivan Drago di Rocky IV, sembra imbattibile (poi alla fine Drago perderà, ma questa è un’altra storia).
Ma a differenza del pugile russo del film, Jannik non è solo potenza. È anche accelerazione, capacità di colpire d’incontro, di trovare angoli se non impossibili molto complessi da disegnare con la racchetta. E poi il passaggio tecnico che gli ha fatto compiere quello che sembra il definitivo salto di qualità: il servizio. Oggi, sul 4-4 nel secondo set contro Khachanov, ha affrontato una palla break e ha risolto con un servizio ingiocabile. poi ne ha tirato uno ancora più forte e un altro ancora. Risultato: 5-4 per lui e poco dopo ha vinto 7-5 ottenendo il break da 40-15 per l’avversario.
Quel che impressione del tennista italiano è la sua implacabilità. È nei quarti di finale degli Australian Open (il primo Slam della stagione) non solo senza aver perso un set, ma non ha ancora giocato nemmeno un tie-break. Solo due volte l’avversario lo ha portato sul 5 pari. Il suo sembra un tennis quasi artificiale, da videogioco. Perché sembra impossibile poter giocare a quei ritmi per due o tre ore di gioco. Senza mostrare il minimo cedimento. Nel post-partita, nella consueta intervista, Sinner ha reso l’idea con una sua frase: «Sembrava una partita di ping-pong, lui ed io abbiamo un gioco simile». Esatto, sembrava una partita di ping-pong per quanto tirassero forte.
A 22 anni e mezzo, Sinner sta compiendo quel percorso che in tanti avevano previsto per quella sua fama da predestinato. Ma è anche vero che a un certo punto sembrava che l’azzurro potesse fermarsi nei dintorni dell’ottimo giocatore cui però manca sempre la capacitò di percorrere l’ultimo miglio. Un’idea che Jannik ha spazzato via nel finale della scorsa stagione, prima a Torino con la vittoria iniziale su Djokovic nelle finali Atp (cui è seguita la sconfitta in finale). E soprattutto con la Coppa Davis e quella vittoria sul serbo annullando tre match-point. E stato l’ennesimo punto di svolta. Tanti altri ce ne saranno.
Oggi Sinner offre una sensazione di dominio che poche abbiamo volte abbiamo riscontrato nello sport italiano: ricordiamo ad esempio Valentino Rossi, o Alberto Tomba. Oggi sembra inattaccabile. Ovviamente non lo è. In fondo, ad altissimi livelli, non ha vinto ancora niente. Eppure ha già l’aura dell’invincibile.
I dubbi di Becker su Sinner
L’intervista al Corsera di dieci giorni fa.
Due anni fa, alla vigilia del divorzio tra Sinner e il coach Piatti, lei aveva appena iniziato a lavorare con Jannik.
«L’ho conosciuto, gran bravo ragazzo. Testa unica nel circuito, team ottimo. La cosa di Jannik che mi stupisce di più è la sua calma serafica in mezzo alla tempesta: non perde mai la bussola, non si scompone, nemmeno sotto pressione. Dote rara. Sintomo di un carattere che gli permetterà di durare nel tempo»
Secondo lei Sinner è pronto a trasferire i progressi della stagione sul veloce indoor nel format dei tre set su cinque, già all’Australian Open?
«Due set su tre e tre set su cinque sono sport diversi. Il salto è abissale. Jannik ha appena iniziato a sfidare Djokovic al suo livello, ha molto talento, a Melbourne parte testa di serie n.4: non ho motivo di pensare che non possa arrivare in fondo al torneo. Vincere, poi, è un’altra cosa».