A Radio Anch’io: «Le teste vanno studiate. Ai Mondiali del 58 il Brasile portò lo psicologo, noi pensammo “mica siamo scemi”. Poi abbiamo capito»
José Altafini a Radio Anch’io, parla dell’importanza dello psicologo nel calcio, anche per quel che riguarda il rapporto con le scommesse. E regala un aneddoto riguardante il Napoli.
Dice Altafini:
«Nel 1958, quando il Brasile vinse il Mondiale, andammo quattro mesi in ritiro per prepararlo. Ci preparammo benissimo fisicamente, ma soprattutto avevamo uno psicologo che restò con noi per tutto il tempo. In un primo momento ci restammo un po’ male, pensavamo “ma mica siamo scemi…”. L’importanza l’abbiamo capita dopo. Gli allenatori non sono psicologi, né i genitori né i procuratori. Lo psicologo può indicare all’allenatore chi ha bisogno di qualcosa, chi sta meglio o chi sta peggio. Quando ero al Napoli avevo due compagni, due napoletani, entrambi bravissimi. Solo che uno era forte mentalmente, l’altro no. Uno entrava in campo e se anche lo fischiavano non gliene fregava nulla, l’altro se sbagliava un passaggio non giocava più. Le teste vanno studiate».
Parlava di Juliano e Montefusco?
ALTAFINI INTERVISTATO DAL FOGLIO
José Altafini intervistato dal Foglio. Parla del Brasile, di Pelè, anche di Napoli.
“Al Napoli con Sivori fu un anno bellissimo. Trovammo subito l’intesa giusta. Arrivammo secondi e riportammo, dopo tanti anni, ottantamila persone al San Paolo. Vedere tutta quella gente, pazza di noi, fu una soddisfazione enorme”.
La saudade non è mai stata un problema?
“Gli italiani sono molto simili ai brasiliani. I napoletani, in particolare, sono praticamente uguali. Gol a parte, ho fatto qui la stessa vita che avrei fatto là”.
Era ai Mondiali del 58 col Brasile, quelli dell’esplosione di Pelè. Partì titolare
“Non avevo neppure 20 anni ed ero già campione del mondo. All’inizio ero io il titolare e feci in tempo a segnare in fretta e furia due gol. Sono stato il pioniere di quella squadra straordinaria, perché il primo gol brasiliano dei Mondiali del ’58 l’ho realizzato io. Poi, però, persi il posto il posto a vantaggio di Vavà. Allora si giocava in undici. La panchina non l’aveva ancora inventata e restai irrimediabilmente fuori”.
“Pelé era già fortissimo, ma non ancora famoso. Quella finale del 29 giugno 1958 fece da spartiacque. Prima era un ragazzo che dava del tu al pallone. Dopo un fuoriclasse riconosciuto a livello planetario. Nessuno ha mai giocato a calcio meglio di lui. È stato il più grande di sempre e sono convinto che non potrà mai essere eguagliato”.