Il direttore sportivo della multinazionale austriaca a Marca: «Ogni club deve avere una sua filosofia, ma è qualcosa che non si scrive sulla carta»
Attaccante vecchio stile che ha anche vestito la maglia della Fiorentina anche se con i viola non ha esattamente brillato. Mario Gomez ora ha un lavoro del tutto diverso, sempre nel mondo del pallone. Dopo aver trascorso una vita in Bundesliga tra Bayern Monaco e Stoccarda, adesso lavora per la Red Bull. Della multinazionale austrica è il direttore sportivo. Cura gli interessi del Lipsia, del New York e del Bragantino: Ha spiegato il suo lavoro a Marca:
«Trovo molto stimolante pensare alla strategia del gruppo Red Bull per i prossimi anni, stiamo cercando di arrivare il più lontano possibile. Il Lipsia ha appena vinto la Coppa per due anni di fila e, anche se sappiamo che è molto complicato, stiamo cercando un modo per essere migliori del Bayern in Bundesliga. Il peculiare sistema di competizione Mls, ora con ‘la Messimania, rende più difficile spiegare brevemente il modello di New York. Adoro il Bragantino. Il Brasile è, secondo me, il miglior paese del mondo, dal punto di vista calcistico».
Ma cosa fa esattamente Mario Gomez:
«Sono in contatto con i direttori sportivi e gli allenatori delle tre squadre per verificare che venga rispettato il nostro stile. Ogni club deve avere una filosofia, ma non è qualcosa che si scrive sulla carta. È qualcosa di dinamico perché nel calcio bisogna trovare cambiamenti e soluzioni. Sfidiamo costantemente noi stessi. Ovviamente gestiamo profili diversi per ogni posizione, ma ci sono milioni di buoni giocatori nel mondo e non tutti rientrano nel ‘modello Red Bull‘. Un attaccante, ad esempio, deve adattarsi rapidamente al nostro calcio di transizione».
Allo Stoccarda era solito festeggiare ogni gol mimando il famoso gesto dei toreri, cosa che lo ha fatto diventare una star in Spagna:
«Realizzare l’esultanza del ‘torero’ non è stata esattamente una mia idea. A Stoccarda erano entusiasti di avere un giovane attaccante ispano-tedesco in Bundesliga. Un giorno stavamo giocando contro l’Amburgo e sulla copertina della rivista del club hanno intitolato ‘Torero’ con un’immagine di me che giocavo e il gioco di parole ‘tor’ significa gol in tedesco. All’epoca avevo 20-21 anni, andai negli spogliatoi e dissi: “Ragazzi, se oggi segno, festeggio imitando un torero”. È stata una partita dura, senza occasioni, e all’improvviso, all’85’, ho segnato un gol e l’ho fatto. Poi sono andato alla Fiorentina, ho visto Joaquin fare la stessa esultanza. E l’ha fatto così bene, sembrava Picasso».