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Il premio Champions conferma che è l’Europa l’orizzonte del Napoli di De Laurentiis

La differenza tra i sogni dei tifosi (lo scudetto) e la visione imprenditoriale di lungo respiro, in un contesto di stravolgimento della geografia del potere del calcio italiano

Il premio Champions conferma che è l’Europa l’orizzonte del Napoli di De Laurentiis
Napoli's players throw Napoli President Aurelio De Laurentiis in the air as they celebrate after winning the TIM Italian Cup (Coppa Italia) final football match Napoli vs Juventus on June 17, 2020 at the Olympic stadium in Rome. (Photo by Filippo MONTEFORTE / AFP)

Vera o costruita che fosse, la telefonata dell’altro giorno tra Aurelio De Laurentiis e quel tifoso del Napoli, messa poi in rete, è stata null’altro che un’operazione verità. In quel minuto è descritto perfettamente il rapporto tra il presidente del Napoli e una discreta fetta della tifoseria, certamente la più rumorosa e quella che risponde perfettamente all’identikit che il resto d’Italia (e non solo) ha di Napoli. De Laurentiis ha poi provato con un tweet a depotenziare il messaggio di quella conversazione “rubata” ma a Napoli nessuno si è sorpreso di quella conversazione. Siamo ben oltre oltre il déjà-vu. Non dimentichiamo che cinque mesi fa era un presidente cui la Digos consigliò di non farsi vedere alle amichevoli della sua squadra.

In questa distanza siderale che c’è tra il corpaccione della tifoseria (che, attenzione, non va distinta in base al censo, Napoli è zeppa di professionisti, prof universitari, primari, avvocati, magistrati, che detestano De Laurentiis) e la visione che del Napoli ha il signor Aurelio, sono inclusi anche il significato e l’importanza da dare all’eventuale vittoria dello scudetto. Che per i tifosi è una vera e propria ossessione, il traguardo di una vita. Per De Laurentiis, che di mestiere fa l’imprenditore e ha la visione di un imprenditore, l’orizzonte del Napoli è invece l’Europa da sempre considerata quasi come un fastidio dal corpaccione della tifoseria. In questo c’era e c’è profonda identità di vedute con Maurizio Sarri che incarnava perfettamente i desideri e i pensieri della maggioranza dei sostenitori del Napoli.

Ora certamente l’eventuale vittoria dello scudetto – ci vuole tempo, siamo a metà gran premio, sia pure con un considerevole vantaggio – sarebbe un traguardo importante. Per dirla alla de Saint-Exúpery è il tempo che hai perduto per il tuo scudetto che ha reso il tuo scudetto così importante. Ma non diciamo nulla di clamoroso nell’evidenziare che l’obiettivo del presidente del Napoli è sempre stato più ambizioso. Oggi l’Italia è un cortile angusto, zeppo di problemi, e che rischia di diventare sempre più irrilevante. La società più blasonata, la Juventus, è nel bel mezzo di una tempesta che è tanto potente quanto il problema è stato e per certi versi continua a essere ignorato dai mass-media nazionali. Quindi è molto potente. Le due squadre di Milano sono alle prese con guai finanziari tutt’altro che trascurabili: quelli di Suning sono più evidenti ma anche il club rossonero naviga in acque turbolente.

Il governo italiano del calcio è molto lontano dall’avere un’idea chiara del futuro del pallone nazionale. Negli ultimi giorni il ministro Abodi (partito bene, si sta progressivamente adeguando al contesto), l’ad della Lega Serie A De Siervo e il presidente della Figc Gravina (che in un altro Paese si sarebbe dimesso o sarebbe stato costretto alle dimissioni) hanno fatto a gara a rilasciare dichiarazioni all’insegna del “così fan tutti” per quel che riguarda il discorso plusvalenze. Gravina addirittura si è spinto a definire la Juventus un esempio. Non hanno capito granché di quello che è successo e probabilmente non hanno la forza di immaginare un calcio che rinasca dalle proprie ceneri. E allora provano a tenere in piedi un sistema che in piedi non si tiene, è così evidente. Che vale sempre meno dal punto di vista commerciale e sempre meno varrà.

In un simile plumbeo contesto, l’unico volto efficiente (oltre che presentabile) del calcio italiano è il Napoli. In campo e fuori dal campo. Calcisticamente e aziendalmente. Sarebbe miope, se non autolesionista, confinare le ambizioni del Calcio Napoli alla ipotetica vittoria dello scudetto. Il Napoli oggi è un club e una squadra che può avere ambizioni europee. Non ce ne rendiamo conto, perché guardiamo sempre e solo il nostro ombelico, ma il quotidiano catalano Mundo Deportivo si lamenta per la scarsa considerazione mediatica che ha il Barcellona rispetto a Napoli e Arsenal considerate le due squadre copertina in Europa.

È questo il motivo che ha spinto De Laurentiis a parlare di premio Champions. E a prometterlo. È l’Europa la sua cifra. Lo è sempre stata. Dai tempi di Benitez, una intuizione che diede il via al processo di crescita che tuttora continua. Un processo proseguito poi con Ancelotti. E l’Europa la vocazione del presidente del Napoli. Che è certamente contento di essere primo in Serie A ma che, almeno nelle intenzioni e nelle ambizioni, si proietta tra le squadre più forti d’Europa. Del resto un paio di anni fa si era qui a discutere dell’esclusione del Napoli dalla SuperLega. Di un club periferico costretto a elemosinare un posto nel calcio che conta (e che è naufragato nel giro di due giorni). In due anni tante cose sono cambiate. E nella visione di De Laurentiis altre ne cambieranno. La geografia del potere del calcio italiano è in pieno stravolgimento. I media non vogliono capirlo. Fanno fatica anche le istituzioni. Figuriamoci se possiamo farne una colpa ai tifosi del Napoli che considerano lo scudetto il non plus ultra. Ma De Laurentiis, con quel premio Champions, ha fatto capire ancora una volta di guardare decisamente più lontano dell’ambiente di riferimento del suo club.

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