ilNapolista

Allegri è stato solo Di Maria e distintivo

Il bello applicato al calcio esiste. Il “bello” è un mezzo (uno dei mezzi) attraverso cui può prodursi un risultato, e anzi attraverso cui si cerca di produrlo

Allegri è stato solo Di Maria e distintivo
Mg Napoli 13/01/2023 - campionato di calcio serie A / Napoli-Juventus / foto Matteo Gribaudi/Image Sport nella foto: esultanza gol Angel Di Maria

Alla fine dispiace, altro che.

Mi dispiace per tutti quelli che pensano che no … il “bello” non c’è, il “bello” è una fantasticheria, un finto specchio per le allodole che funziona come alibi per i perdenti.

Parlo di “bello” applicato al gioco (inteso come oggetto di contesa e come modo di condurla), ed in particolare di come questo si declina, in concreto, nelle modalità attraverso cui i risultati nascono, si producono e si determinano.

Non è questa la sede per aprire lunghe parentesi su quanto in discussione richiede, comporta e significa.

Mi chiedo solo, e chiedo a chi legge, specie ai tifosi del Napoli: ma sarebbe stato uguale, rispetto alle emozioni vissute, se ieri invece che in quel modo (così “bello”, appunto) il Napoli avesse vinto dopo una partita senza occasioni da gol, senza il compiersi di quei gesti tecnici individuali e collettivi, senza quelle prodezze (e cioè: esecuzioni di giocate che ai più appaiono di quasi impossibile realizzazione), senza tutto questo insomma, e quindi se avesse vinto solo con un gol casuale e fortuito?

Si sarebbe goduto così tanto? Si sarebbe fatta così fatica a dormire, a capacitarsi di cosa fosse successo? Si sarebbe introiettata tutta l’epica di cui si discuterà per anni?

Ecco, datevi una risposta, e vedrete che in quella risposta troverete anche quella sull’esistenza, o meno, del “bello” applicato al calcio.

Ed infine (il discorso che qui si apre è strettamente connesso a quello appena chiuso), mi dispiace per Allegri.

Deve essere brutto quando la fortuna ti abbandona, perché poi alla fine anche la fortuna, prima o poi, si rompe i coglioni di assisterti.

Me la immagino, anche ieri, la solita preparazione speculare della partita: loro (il Napoli) che attaccano ed hanno il pallone, noi (la juventus) che li aspettiamo nella nostra tre quarti, e poi – riconquistato il pallone – all’attacco ed in contropiede (parlo di Allegri, quindi volutamente evito di parlare di “transizioni negative”, che altrimenti si incazza) a cercare di fare gol.

E invece, che cazzo fa la fortuna?
Ti fa prendere il primo gol dopo 13 minuti e ti pone di fronte al fatto che da lì in poi dipende da te.

Da lì in poi, in sostanza, si va a verificare cosa c’è di tuo, cosa c’è di te allenatore.

E cioè: come imposti, ora, la partita? Come intendi recuperare, a quel punto, senza concedere tu campo aperto al Napoli? Come posizioni i tuoi uomini in fase di impostazione del gioco, come metti Di Maria e Chiesa all’uno contro uno verso i loro diretti avversari, così da avere occasioni di superiorità numerica? Come eviti di far giocare Milik spalle alla porta e pensi, invece, di dargli la possibilità di andare a concludere aggredendola di faccia? Come fai muovere,  in fase di impostazione, gli sterni bassi rispetto a quelli alti, facendoli entrare nel campo (dando ampiezza a quelli alti)  o facendoli andare in sovrapposizione esterna (usando quelli alti per fare densità dentro il campo)?

Vi sembrano domande idiote, queste?

Ecco, se si, è inutile che guardiate le partite di calcio: perché è qui che il calcio si declina, è qui che l’allenatore fa il suo mestiere, è qui che si produce il “bello” di cui sopra.

La differenza tra il risultato ed il bello non è l’alternativa del loro prodursi, solo uno scemo pensa che siano antitetici.

Il “bello” è un mezzo (uno dei mezzi) attraverso cui può prodursi un risultato, ed anzi attraverso cui si cerca di produrlo.

Ed il “bello” applicato al calcio (che è un gioco collettivo, ricordiamolo bene, in cui 11 giocatori devono muovere il pallone fino ad imbucarlo nella porta avversaria) risiede proprio in questo.

Nel fatto di produrre risultato attraverso movimenti sincronizzati (ed ampiamente studiati e ri-elaborati) tra compagni (sia quelli interessati all’azione, sia quelli che in quel momento ne appaiono esclusi; sia i portatori di palla, sia quelli che andranno a riceverla), attraverso particolari gesti nella conduzione del pallone e nel suo scarico al compagno, attraverso, insomma, quella visione di insieme che ti fa sembrare 11 uomini 1 sola struttura, 1 solo unico corpo che si muove per il campo attraverso le gambe degli 11 che lo compongono.

Ecco cos’è il “bello”: quando vinci e ti sembra che si sia vinto grazie a questo, c’è e lo percepisci; quando vinci senza averlo visto (perché non c’è stato), ecco che allora hai vinto e basta.

Ed allora, tornando alla questione i cui sopra: dopo che la fortuna ha scompigliato i piani (recte: i soliti piani speculari), cosa c’è stato di Allegri?

Niente: non c’è stato niente.

O per lo meno, c’è stato solo Di Maria, un fenomeno che è ben altra cosa rispetto a schemi, gioco di insieme, lavoro tecnico/tattico e tutto ciò che declina il “bello”.

Ora, non vorrei tanto ricordare ad Allegri cosa dice e fa Joe Pesci quando in quel capolavoro di Scorsese (“quei bravi ragazzi”) gli dicono che è “buffo” (anche perché è un film “bello”, e siccome è “bello” nemmeno lo avrà visto; d’altronde, cosa ce ne facciamo del “bello”?), se non per ricordare a me stesso cosa si potrebbe dire che è stato Allegri dopo il gol che gli scompiglia i piani, riparafrasando un altro motto (noto ai più) di un altro capolavoro del cinema.

È stato solo “Di Maria e distintivo. Solo Di Maria e distintivo”.

°°°°

Il primo gol del Napoli nasce da una giocata d’insieme (a proposito di quanto sopra) che più volte abbiamo commentato quest’anno.

Di Lorenzo (esterno basso) porta riceve il pallone entrando nel campo, mentre  Politano (esterno alto) compie una sovrapposizione interna scattando nello spazio e lì chiamando il pallone, che gli viene subito (con giri e tempi perfetti) recapitato dal compagno.

A quel punto Politano, che a ben guardare l’azione gira la testa per una frazione di secondo allo scopo di verificare quale sia la posizione dei compagni in area dietro di lui, decide giustamente di usare il suo piede “non giusto” per bruciare il tempo alla difesa avversaria che sta posizionandosi e crossare istantaneamente un pallone morbidissimo.

Osimhen, attira su di sé due uomini andando incontro al cross ma non prende il pallone, che a quel punto è preda di Kvaratskhelia il quale prova la conclusione con una mezza sforbiciata; Szczesny, respinge, anzi in realtà sembra quasi volerla recapitate, a mo’ di alzatore di volley, sulla testa di Osimhen (complimenti davvero al portiere della Juventus), che non si fa pregare e di testa insacca.

Anche il secondo gol nasce da uno schema più volte commentato.

Politano attende l’appoggio del compagno posizionandosi, sulla linea laterale,  già con il corpo in modo da potere di prima, con il piede sinistro (e quindi in modo da anticipare tanto il tempo di giocata, quanto l’intervento di chi lo va ad affrontare), calciare il pallone nello spazio per lo scatto di Osimhen.

Il quale, appunto, scatta per andare a prendersi il pallone lanciatogli del compagno.

Bremer (che sembra in anticipo), grazie al corpo girato quasi di schiena al pallone ed all’avversario, se lo fa carambolare addosso senza nemmeno accorgersene e lo lascia lì per l’attaccante nigeriano, il quale lo fa proprio, attende che Kvaratskhelia entri in area per ricevere lo scarico, gli passa il pallone ed il campione georgiano, con un colpo da biliardo (direi con 8 in buca d’angolo dichiarata), calcia il pallone con il piatto del piede destro (sembra accarezzare il pallone, ma in realtà gli dà uno “schiaffo” di quelli in grado di imprimergli tutta la velocità che serve) e lo mette rasoterra sul secondo palo, alle spalle del portiere.

Anche qui, tornando a quanto sopra: complimenti davvero alla Juventus per l’acquisto di Bremer, un vero fenomeno: ma quale giornalista glielo fa notare?

Dopo aver subito il gol del 2 a 1 grazie, prima ancora che ad una distrazione di massa difensiva del Napoli (come fa Kim ad avere così poca reattività da farsi passare il pallone tra le gambe in quel modo? Perché Rrahmani non va subito incontro all’attaccante argentino così da opporre subito il suo corpo alla traiettoria del tiro, invece di farlo partire?), ad una prodezza di Di Maria (l’unica cosa che ha Allegri, appunto), il Napoli chiude la partita con il terzo gol, davvero bello.

Rrahmani, fino ad allora disastroso (riuscendo anche a costringere Meret ad una parata strepitosa su una sua propria deviazione, parata che ad avviso di chi scrive salva partita e vittoria), calcia di controbalzo con il piede destro una palla che gli arriva, dopo un primo rimbalzo che ne rende ancor più veloce la traiettoria, direttamente da un calcio d’angolo battuto a rientrare.

L’esecuzione è tecnicamente perfetta (a proposito di “bello”): corpo sopra il pallone  e non sbilanciato all’indietro, gamba d’appoggio ben piantata per terra, pallone impattato non appena si sta alzando (ma non si è alzato troppo) da terra; ne esce fuori un siluro che va ad insaccarsi, a metà altezza, dritto per dritto, alla sinistra della porta  avversaria.

Il quarto gol è ancor più bello.

Bremer, ancora lui (!) regala un pallone al Napoli che (notare bene) su una palla in fase di possesso avversario invece di difendere indietreggiando si difende salendo (grazie all’ottimo Mario Rui) ed aggredendo la difesa della Juventus, in parità numerica,  nei suoi primi 15 metri.

La palla arriva per ciò a Kvaratskhelia sul vertice dell’area (zona di centro sinistra per chi attacca), il campione georgiano vede il movimento di Osimhen, che gliela chiama (con il braccio, come fece il Cholito a Milano contro il Milan) e va ad aggredire lo spazio in area scattando in mezzo ai due centrali avversarsi.

Kvaratskhelia mette in mezzo, sulla corsa del compagno, un pallone che sembra crossato con le mani tanto sono perfetti i “giri” che imprime al pallone, colpo di testa dell’attaccante nigeriano, 4 a 1.

Ma non è finita qui.

C’è ancora il tempo per vedere il gol (quello del 5 a 1) di uno dei giocatori più sottovalutati dalla pletora di intenditori del calcio, Elmas (che è anche uno dei miei preferiti, lo ammetto).

La palla arriva a Di Lorenzo, nell’insolita (ma studiata) posizione di centrocampista centrale (ancora una volta si è accentrato per lasciare spazio, così da determinare possibilità per il conseguente 1 contro 1, al compagno in fase di ricezione del pallone); il capitano del Napoli la appoggia subito ad Elmas, che in quella fase, da esterno largo, sta stringendo nel campo per andare a ricevere la palla (guarda caso all’1 contro 1 verso il difensore della Juventus).

Non appena gli arriva la palla, Elmas finta di calciare, si sposta il pallone sul sinistro con un dribbling secco a rientrare (in modo da sfruttare la contraria direzione di corsa con l’avversario che sta andando a  contrastarlo), manda al bar quest’ultimo e cambiando piede di sinistro segna il gol del 5 a 1.

Segnatevelo questo cognome: Elmas.

Destro, sinistro, corsa, accelerazione, progressione, dribbling, forza nelle gambe, fase difensiva, fase offensiva, tiro, lucidità nell’esecuzione di ogni giocata (anche sotto porta), tecnica sopraffina.

Segnatevelo e, se potete, associatelo ad altri 5 giocatori (se li trovate) del campionato italiano che abbiano tutte (ma dico tutte) queste caratteristiche con il livello di qualità con cui lui li declina.

Abbiamo finito, insomma.

Bisognerebbe nominarli tutti, ma per ragioni di spazio non si può ed anzi sono d’accordo con Ilaria Puglia circa il voto (10) dato a tutta la squadra.

Io, proprio in conclusione, scelgo un’altra cosa da ricordare e da ricordarmi (si parla di tecnica e di “bello” purtroppo): Lobotka e la sua incredibile, rara e stupefacente capacità di andare a rubare palla all’avversario dopo il primo controllo di quest’ultimo, quando cioè scopre la palla (dopo lo stop) prima di ricontrollarla per iniziare a condurla.

Poche volte ho visto un giocatore così in grado, in uno con l’abilità tecnica straordinaria nella gestione del pallone (per non parlare delle accelerazioni con cui, in conduzione della palla, fa semre fuori due linee di pressione avversaria), di capire quando è il momento di andare a prendersi quel pallone temporaneamente nei piedi del “nemico”.

ilnapolista © riproduzione riservata