“Che belle le squadre che giocano come vecchi cani e senzatetto nelle baraccopoli dove un pezzo di pane raffermo viene trasformato in una torta di compleanno”
Il possesso palla come tossicodipendenza. La Spagna battuta dal Marocco si sveglia nel suo giorno di lucidità: ci voleva il trauma d’una eliminazione mondiale evidentemente per svelare ai giornali un dato evidente a tutti: l’inutilità del possesso palla fine a se stesso. El Paìs lo scrive in due pezzi, titolando anche in prima pagina: “Con la palla non basta”.
Ma è Manuel Jabois che affonda, nel suo editoriale, paragonando il controllo ossessivo del pallone ad una dipendenza da oppiacei.
“La Spagna è caduta nella droga, nel possesso fine a se stesso, la palla per avere la palla e mettersi in mostra senza sapere che serve invece per metterla in porta, con il vantaggio che questo dà; La Spagna gioca per avere la palla, cosa molto ambiziosa in cui sono molto bravi, ma averla può farti cadere nella morsa, che è muoverla senza sapere cosa farsene. Puoi usare gli oppioidi con un obiettivo, che è alleviare il dolore e andare avanti nella vita, e puoi anche usarli perché non puoi farne a meno, perché ne hai bisogno, anche se ti aiutano solo a sbarazzarti della voglia di prenderli. È la storia della droga: puoi prenderla con un obiettivo, ma se la prendi tante volte, arriva un momento in cui dimentichi l’obiettivo, e la prendi solo perché se non la prendi è peggio. Si chiama dipendenza e succede con le sostanze, con certi amici, con l’amore, con il lavoro, con un pallone da calcio”.
La nazionale “spagnola sa usare il pallone in modo brillante. Così brillantemente che quando se ne dimentica, è terrificante. Uno che lancia arance in aria e le raccoglie. Uno che fa la rabona nella sua zona. Uno che viene a cena e dice che parla solo di ciò che sa e non chiude più la bocca. Uno che annoia se stesso e annoia gli altri”.
L’articolo di Jabois è implacabile: “C’è più spettacolo in una squadra senza palla, che dondola e si posizionan, che copre le falle, mordendo e imparando fin dove può arrivare l’arbitro senza espellere nessuno, che tira fuori le zanne e il suo mestiere, vecchi cani e senzatetto che cercano da vivere in quelle baraccopoli dove un pezzo di pane raffermo viene trasformato in una torta di compleanno, che in una squadra di lusso“.
La Spagna ormai “non sa usare classe o qualità”. E’ come chi “non sa usare la vita, che nasce con un manuale di istruzioni. E se non lo stracci, e lo impari a memoria, come il calcio, alla fine corri il rischio di crederci”.