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Spalletti ha a disposizione due Napoli completamente diversi

Il trionfo del calcio liquido. Con Raspadori è una squadra, con Osimhen un’altra. Victor e Kvara sono devastanti ma nella ripresa Napoli con meno equilibrio

Spalletti ha a disposizione due Napoli completamente diversi

Il giorno e la notte

Dal punto di vista puramente tattico, Napoli-Bologna 3-2 potrebbe rappresentare un punto di svolta per la stagione e il futuro della squadra di Luciano Spalletti. Per un motivo semplice: ciò che si è visto nel corso del primo tempo è stato completamente ribaltato nella ripresa. Siamo ai livelli di Dr. Jekyll e Mr. Hyde, siamo al giorno e la notte. Siamo, si può dire, all’apoteosi del calcio liquido: non tanto e non solo perché è arrivata la vittoria, una vittoria importante e significativa, ma per la dimensione della trasformazione fatta dal Napoli pur di riuscire a prendersi questi tre punti: con il semplice inserimento di due uomini – Lozano e soprattutto Osimhen – al posto dei titolari Politano e Raspadori, la squadra azzurra ha cambiato faccia, approccio, idee e meccanismi di riferimento. Com’è giusto che succeda nel calcio moderno. Com’è giusto che avvenga quando un Raspadori viene sostituito da un Osimhen.

Ma andiamo per gradi, e partiamo dall’inizio. Dalle scelte di formazione di Spalletti e Thiago Motta, dal fatto che Napoli e Bologna si sono affrontate come in uno specchio riflesso. Ovvero: 4-3-3/4-5-1 contro 4-3-3/4-5-1, con Lobotka e Medel schierati nel cuore del centrocampo e deputati ad aiutare i centrali nella costruzione dal basso.

C’è una differenza, però: Lobotka ha stazionato davanti a Kim Min-jae e Juan Jesus, mentre Medel spesso è andato a giocare più arretrato rispetto a Bonifazi e Lucumí

Come si vede chiaramente in questi due screen, la posizione in campo e quindi l’atteggiamento dei due centromediani sono molto diversi tra loro. Anzi, determinano l’approccio e il piano partita di Spalletti e Thiago Motta: ambizioso e offensivo per il primo, conservativo e contenitivo per il secondo. Lo dicono i dati del baricentro relativi al primo tempo: gli azzurri l’hanno fissato a 57,38 metri, i rossoblù a 43,6 metri, decisamente sotto la linea immaginaria della trequarti campo.

La scelta di schierare Mário Rui, Raspadori e Politano dal primo minuto, oltreché Ndombélé e Juan Jesus al posto degli infortunati Rrahmani e Anguissa, ha inclinato il piano-partita di Spalletti verso il possesso palla. Non a caso, viene da dire, il dato grezzo a fine primo tempo era 54% Napoli e 46% Bologna. Il punto è che per bucare la difesa di una squadra così attendista come il Bologna disegnato da Thiago Motta allo stadio Maradona, serviva muovere il pallone ad alto ritmo, magari in verticale oppure da una parte all’altra del campo, così da creare – più o meno letteralmente – degli spazi da attaccare.

Questa idea si è sublimata perfettamente, dopo una prima fase di studio e di stallo, a cavallo tra il quarto d’ora e la mezz’ora di gioco: in quei 15 minuti, il Napoli ha costruito 6 conclusioni verso la porta di Skorupski, di cui almeno 3 che si possono definire occasioni nitide, o pulite. Anche facili, in fondo. Ci riferiamo al diagonale incrociato di Raspadori finito a lato, al tiro alto di Politano dall’interno dell’area di rigore e alla traversa scheggiata da Mário Rui dopo una progressione dal suo lato. Tutte e 3 questi tentativi sono nati da un assist di Kvicha Kvaratskhelia.

Un’azione stupenda

In questa azione c’è l’essenza del Napoli di possesso che ha in mente Spalletti. Ovvero una squadra che muove il pallone in maniera ricercata e ragionata ma non solo orizzontale, esplorando continuamente i mezzi spazi e ruotando tanti giocatori in tante posizioni diverse. La sterzata decisiva è sempre di Kvaratskhelia, bravissimo ad andare sul sinistro piuttosto che sul suo piede – teoricamente – forte, ma il talento dell’esterno georgiano viene assecondato, attivato, da una trasmissione di palla veloce e imprevedibile. Basta notare come l’imbucata decisiva, quella di Ndombélé verso Zielinski, avviene con il francese nello slot di mezzala sinistra e con il polacco che si muove tra le linee, come se fosse un trequartista; subito dopo è Raspadori a proporsi per ricevere il passaggio e poi ad aprire verso Kvara, con Politano che si stacca bene dalla marcatura a centro area ma poi non riesce a concludere con la misura giusta.

La discriminante che ha portato il Napoli a costruire questa azione e tutte le altre occasioni pericolose del primo tempo è stata l’intensità. Molto spesso questo termine viene utilizzato per descrivere una squadra che corre e pressa molto, che fa sentire la sua forza fisica agli avversari di turno, ed è sicuramente una scelta sensata. Ma esiste anche un altro tipo di intensità: quella tecnico-tattica. Ovvero la capacità di mettere sotto pressione un’altra squadra attraverso un ritmo intenso, per l’appunto, nelle proprie giocate. Nel caso specifico, parliamo di possesso palla. Di scambi, di movimenti con e senza palla che manipolano e disordinano il sistema difensivo del Bologna.

La resistenza del Bologna

Da parte sua, il Bologna non ha ceduto. O meglio: ha vacillato, perché in fondo il tiro di Politano che abbiamo visto sopra e la traversa colpita da Mário Rui sono due conclusioni sbagliate dai giocatori del Napoli. E lo stesso si può dire del diagonale di Raspadori. Ma alla fine la squadra di Thiago Motta ha resistito. Grazie alla capacità di addormentare il gioco attraverso un possesso sicuramente arretrato e quindi difensivo, ma anche in grado di togliere attrito al calcio del Napoli. Era successo già nei primi minuti di gara, è capitato di nuovo nell’ultimo quarto d’ora del primo tempo.

È come se Thiago Motta avesse fatto sfogare e quindi stancare il Napoli, per poi invitare il suo Bologna a ripartire con il suo gioco lento, controllato, anche intelligente se vogliamo. In fondo il gol di Zirkzee nasce proprio in questo modo: la squadra di Spalletti rifiata, il Bologna tesse la sua tela e alla fine trova un doppio corridoio in verticale su Domínguez e poi su Barrow. Il primo si è mosso costantemente a tutto campo per offrire soluzioni e linee di passaggio ai suoi compagni, agendo praticamente come un trequartista, più che come una mezzala; il secondo ha costantemente aggredito gli spazi alle spalle della difesa del Napoli, mentre Zirkzee ha lavorato soprattutto come pivot offensivo.

In questo video si vede solo l’ultima parte dell’azione. Ma il tocco di Domínguez verso Cambiaso è da vero trequartista d’élite.

Il gol è arrivato casualmente, ma solo in parte. Nel senso: quello di Zirkzee è stato il primo tiro in porta costruito dal Bologna nel primo tempo, ma basta rivedere l’azione per capire che quello è stato ed è il modo di giocare della squadra rossoblu. Ed è come se il Napoli avesse pagato, tutto insieme, lo scotto per aver dominato la maggioranza del primo tempo senza riuscire a concretizzare questa mole di gioco. A portarsi in vantaggio. Il pareggio di Juan Jesus è arrivato su corner, e si è trattato di un gol ovviamente meritato. Ma pure del tutto casuale.

All’intervallo, era chiaro che Spalletti avesse due strade alla fine del primo tempo: provare a forzare di nuovo la gara alzando in maniera vertiginosa l’intensità di gioco, oppure cambiare il Napoli. Ha scelto la seconda strada.

Napoli verticale

Perché il Napoli cambia radicalmente con Osimhen al posto di Raspadori? Perché Osimhen è un attaccante completamente diverso. Il nigeriano è una prima punta che ripiega poco a centrocampo per legare i reparti. Che galleggia costantemente tra i centrali avversari per creare apprensione, per mettergli pressione. Che attacca quasi sempre l’area di rigore alla ricerca del pallone giusto da scaraventare in rete. Il fatto che i due calciatori siano stati in campo per un tempo a testa ci permette di fare un confronto piuttosto significativo e interessante dal punto di vista statistico:

In alto, tutti i palloni giocati da Raspadori; sopra, tutti i palloni giocati da Osimhen. Non c’è molto da aggiungere.

Da qui in poi, discendo e si originano i cambiamenti nel gioco del Napoli. Con un attaccante come Osimhen, e anche con Lozano a destra al posto di Politano, è inevitabile che la squadra abbia giocato in modo più diretto. Più verticale. Anche più in ampiezza e meno tra le linee, visto che non c’era più Raspadori in meno, un calciatore geneticamente portato a un certo tipo di movimenti. Basta rivedere l’azione del gol di Lozano per capire cosa intendiamo:

Tutto in verticale

Guardate dove si trova Osimhen mentre Mário Rui porta il pallone. Guardate come cambia l’attacco posizionale del Napoli contro la difesa schierata del Bologna. E, infine, guardate come Kvaratskhelia riceve il pallone, come lo tocca, lo sposta, come lotta per tenerlo, e alla fine riesce a trovare lo spazio per il tiro. Del resto il calcio verticale dipende anche dalla fisicità dei giocatori, dalla loro tendenza a tenere i contatti con gli avversari sui palloni che gli arrivano da dietro. Non sui piedi. Nello spazio, non sulla figura. In questi fondamentali, il georgiano è praticamente incontenibile, e allora perché non sfruttarlo?

Ma c’è un altro aspetto importante per chi vuole fare calcio in verticale: la capacità di dare i passaggi giusti coi tempi giusti. Ovviamente si tratta di una dote utile – per non dire necessaria – in tutti i sistemi tattici, ma lo diventa ancor di più quando l’obiettivo è assecondare l’attacco alla profondità di giocatori come Osimhen. Banalmente, servire il centravanti nigeriano con il tempo sbagliato lo porta automaticamente al fuorigioco; allo stesso tempo, servirlo con un tocco fuori misura vuol dire cestinare un’opportunità offensiva, un suo scatto, parte della sua energia.

Ma il Napoli ha Kvicha Kvaratskhelia. Che, semplicemente, sa fare tutto. Sa essere tutto. Nel caso del terzo gol, quello che rimette le cose a posto dopo l’errore di Meret, si trasforma in un esterno creativo a piede invertito che entra in campo e rifinisce l’azione con un tocco di velluto. Anche in questi due passaggi si manifesta l’anima verticale del Napoli disegnato da Spalletti nella ripresa: Zielinski viene a prendersi e a giocare il pallone; Kvara va nel mezzo spazio di centrosinistra; Osimhen scatta verso la porta. Per aggredirla. Senza che nessuno riesca a tenerlo.

Un gol in pochi istanti

In questa manovra si è manifestato il problema che tutte le avversarie del Napoli dovranno provare a risolvere da qui in avanti: come tenere, contemporaneamente, Kvaratskhelia e Osimhen? Su chi, quando e come raddoppiare? Meglio salire per togliere profondità oppure arretrare per coprirla? Ovviamente ogni azione determinerà situazioni e scelte diverse, ma in questi dubbi sta – e starà – il reale valore del Napoli di Spalletti: le ambizioni degli azzurri dipenderanno dal modo con cui i loro avversari decideranno di fronteggiare due giocatori fuori scala come Kvaratskhelia e Osimhen. E da come si evolverà la loro intesa all’interno dei meccanismi di squadra.

Meccanismi che sono ancora da registrare, da equilibrare, visto com’è andata la ripresa. Sono le rilevazioni statistiche a dirlo: il dato grezzo del possesso palla più che ribaltato rispetto al primo tempo (58% per il Bologna e 42% per il Napoli) ha un significato relativo, ma resta il fatto che i giocatori del Bologna hanno tentato 10 conclusioni verso la porta di Meret, hanno vinto  la gara dei contrasti addirittura per 15-1, hanno intercettato 7 passaggi senza andare allo scontro fisico. Insomma, il Napoli ha giocato in maniera più rischiosa e meno dominante, ha affermato la maggior qualità dei suoi giocatori ma non ha davvero vinto il duello tattico.

Non c’è niente di male, anche perché dopo l’intervallo, in fondo, sono cambiati tutti i riferimenti e tutti meccanismi: i 20 lanci lunghi del primo tempo sono diventati 27 nella ripresa, e lo stesso discorso vale anche per i passaggi diretti nell’ultimo terzo di campo (da uno ogni 2,5 appoggi a uno ogni 1,8) e per i duelli aerei tentati (da 6 a 10). Insomma, era inevitabile che una mutazione così radicale potesse portare a un minimo di disorientamento.

Conclusione

Il fatto che il Napoli abbia vinto nelle condizioni che abbiamo descritto, sfruttando la vastità delle soluzioni – di formazione, quindi anche tattiche – a disposizione di Spalletti, ha un significato enorme. Anche il semplice fatto che il tecnico toscano abbia riscritto completamente il modo di giocare della sua squadra è davvero importante. Da anni, nell’ambito di questa rubrica, auspicavamo che l’allenatore del Napoli – chiunque fosse – riuscisse a dare un senso di varietà al gioco della squadra azzurra, sfruttando appieno il suo organico. Ora sta avvenendo, ed è un grande merito di Spalletti.

Come scritto – tra le righe e non solo – in questa analisi, ora tutto dipenderà dal modo in cui il Napoli imparerà a reagire rispetto a certi cambiamenti. Nella ripresa della partita col Bologna si è vista una squadra potenzialmente fortissima anche – se non soprattutto – col gioco verticale, grazie al gioco verticale. Ma quel cambiamento, che in fondo ha portato alla vittoria, ha determinato anche un po’ di squilibrio, una sensazione di scollamento tra i reparti.

Se Spalletti dovesse riuscire a risolvere questo bug, cioè a tenere insieme i pezzi della sua squadra anche quando viene – e quindi verrà – investita da una trasformazione così radicale nel corso di una partita, o magari quando la comincerà con Osimhen e Lozano lanciati nelle praterie del calcio verticale, allora sarebbe davvero difficile porre dei limiti alle sue ambizioni. E quindi anche a quelle del Napoli, inevitabilmente.

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