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Il gol di Raspadori è la versione calcistica di “Mira al cuore Ramon”

I gesti tecnici di Napoli-Ajax. Il Napoli è straripante con azioni gemelle. La delicatezza di Zielinski sul gol di Lozano. La partita di Olivera

Il gol di Raspadori è la versione calcistica di “Mira al cuore Ramon”

Raspadori e gli altri

Altra partita incredibile del Napoli, che strapazza l’avversario in modo così netto da rendere bugiardo anche un risultato che la vede andare a segno ben 4 volte.

I gol e le azioni che hanno generato i gol sono ancora una volta frutto di gesti tecnici davvero di grande spettacolarità, per la bellezza e l’efficacia che li contraddistinguono. Oltre che di grande spessore, per il quoziente di difficoltà che li accompagna.

Ancora una volta, appunto.

Quello che impressiona e che balza all’occhio dell’attento osservatore è che questi gesti appaiono sempre di più il prodotto di giocate che tanto l’allenatore con l’organizzazione di gioco voluta e trasferita alla squadra, quanto i singoli giocatori che ne fanno parte, costruiscono con aderenza sartoriale alle caratteristiche del compagno. Che caso per caso – oltre che fase per fase di gioco – è interessato alla manovra, alla ricezione ed alla conduzione del pallone.

Ci si riferisce, in particolare, al modo attraverso cui la squadra, e nello specifico il portatore di palla, utilizza il compagno primo ricevente del pallone per saltare la prima linea di pressione avversaria e tornare in possesso della palla. Dopo aver così guadagnato almeno 10 metri di “risalita”, e con essa  sia campo libero (anzi, aperto) per la successiva giocata, sia maggiori giri di velocità nella corsa grazie all’accelerazione che vi si può imprimere per l’assenza di avversari che la contrastano (perché colti di sorpresa dall’azione in questione).

Prendiamo, come esempio della tesi, le due azioni “gemelle” (per impostazione ed approccio) che hanno nel giro di due minuti avuto come protagonisti dapprima Olivera e Kvaratskhelia, e poi quest’ultimo e Zielinski (nell’azione del gol).

Appunto, l’approccio è sempre lo stesso, consentito dalle qualità tecniche di prim’ordine dei protagonisti.

Nella prima, Olivera si trova a gestire un pallone appena ricevuto nella trequarti difensiva del Napoli.

Si avvia ad attivare un’azione di contropiede, ed a tale scopo Kvaratskhelia si abbassa sulla sinistra e gli va incontro per ricevere la palla.

Olivera gliela passa e si butta nello spazio apertosi (con il movimento dello stesso Kvaratskhelia) dietro alle spalle del compagno perché sa già – grazie alle qualità tecniche dello stesso e grazie al fatto che il Napoli proprio attraverso queste sta impostando, evidentemente con apposite esercitazioni settimanali, le sue azioni di “risalita” del campo – che la palla gli verrà restituita:

  1. di prima (per agevolare la velocità del suo movimento e la sorpresa avversaria);
  2. nella solita maniera che già descrivemmo nelle nostre precedenti analisi.

E cioè attraverso una giocata dell’uomo utilizzato per il triangolo, nel caso di specie il campione georgiano, tanto all’apparenza semplice quanto di difficilissima esecuzione.

Il ricevente  infatti:

  1. aspetta che il pallone gli arrivi addosso;
  2. nel frattempo, si pianta per terra per bloccare l’intervento dell’avversario che lo pressa;
  3. si fa scivolare il pallone sul collo del piede spostandolo nella direzione in cui vuole che vada lo stesso pallone e così lo direziona, in pratica lasciandolo a portata del compagno che già aveva iniziato la corsa per andarlo a riprendere (e che in quel modo ed in quella zona del campo se lo va non a caso a riprendere).

Per poi potere lo stesso compagno, una volta riavuta la palla, attaccare lo spazio e correre a campo libero dapprima senza avversari che possano contrastarlo (perché presi in contropiede, appunto, da questa giocata) e poi, quando gli avversari della seconda linea di pressione cercano di contrastarlo, sfruttando la velocità nel frattempo presa nel campo aperto per superarli, puntare la porta o per cercare l’imbucata per il successivo movimento dell’attaccante.

Stessa cosa (meravigliosa), nell’azione del gol di Raspadori.

Questa volta è Zielinski ad avere il pallone nella propria trequarti, ma identica è l’impostazione della “risalita” del pallone e della squadra.

Il polacco cerca con una “veloce” (passaggio forte addosso al compagno più vicino) il georgiano, il quale, ancora una volta, sul modello judoka di cui già si è parlato si fa arrivare il pallone addosso.

Mentre sta per riceverlo:

  1. si pianta per terra per schermarlo dall’intervento del difendente avversario in pressing;
  2. con una giocata da maestro (cintura nera, settimo dan) di tecnica, si fa scivolare il pallone sul piede destro e con un movimento impercettibile dello stesso direziona la palla  verso la parte sinistra del campo dove nel frattempo sta arrivando Zielinski per ricevere la chiusura del triangolo;
  3. mentre con un movimento contrario del corpo ruota su se stesso aggirando l’avversario (letteralmente: girandogli intorno e lasciandolo sul posto) e riprende la corsa campo aperto per ricevere nuovamente la palla dallo stesso Zielinski che nel frattempo l’aveva ricevuta dal georgiano.

Zielinski, infatti, a quel punto restituisce il pallone a Kvaratskhelia, che si è già lanciato nello spazio per riavere quel pallone nella sua migliore condizione e posizione possibile: quella del fenomeno lanciato nello spazio con possibilità di uno contro uno e, comunque, di tempo utile per la giocata da scegliere senza praticamente avversari a contrastarlo.

Il rasoterra di Kvara per cercare Raspadori

E così il georgiano fa, tagliando con un rasoterra l’area per cercare Raspadori, il quale, dopo un primo controllo non semplicissimo e per questo non istantaneamente ben riuscito, cambia piede (dal destro dello stop al sinistro del tiro) e la mette sul primo palo, anzi all’incrocio del primo palo.

Una botta che spacca la rete, si direbbe, ancora una volta e finalmente: dopo anni di tiri a giro, si cerca finalmente di sfondarla, quella rete, perché fame a cattiveria agonistica impongono che la rete vada gonfiata, non sfiorata: come diceva un mio vecchio allenatore, per fare gol “mira più forte che puoi alla faccia del portiere” (che solo tempo e tempo dopo ho legato al “mira al cuore ramon” di leoniana memoria).

Quelli di cui sopra sono solo due eccezionali esempi dell’impostazione tecnica nella “risalita” del campo di cui si è cercato di dare l’idea.

Una impostazione che in quei frangenti ha avuto nel georgiano l’eccezionale esecutore, ma che più volte ha visto in tale “funzione” per esempio Lobotka (per scambi eseguiti con Anguissa o Di Lorenzo o lo stesso Zielinski), oppure Anguissa (per scambi eseguiti con lo stesso Lobotka).

Un interscambio di giocatori, in questo ruolo di “muro di sponda”,  che se da un lato riesce sempre a far si che il Napoli, una volta conquistato il pallone, risalga il campo in verticale ed in pochissimi secondi (con tutto il beneficio che se ne trae in termini di sorpresa e di difetto di contro-posizionamento della squadra avversaria di turno), dall’altro lato denota la grande cifra tecnica del collettivo del Napoli stesso, che può permettersi di avere ora l’uno, ora l’altro giocatore in questo delicatissimo e difficilissimo ruolo.

Questo mi sembra il dato di impostazione (collettiva) e gestualità (individuale) tecnica più rilevante della partita.

Il gol di Lozano

A cui, certo, come non fare cenno al bellissimo gol di Lozano che apre la partita, in cui:

  1. la velocità di pensiero ed esecuzione del messicano, che in un attimo decide di sfruttare la sovrapposizione di Di Lorenzo e lo spazio nel campo che questa gli apre per entrare nel campo, scaricare la palla al compagno ed imbucarsi tra l’esterno ed il centrale avversario (dove è più difficile essere contrastato perché il primo è già tagliato fuori dal movimento di taglio in verticale, l’altro perché girato di faccia al pallone dando le spalle all messicano stesso) per andare a ricevere in area la chiusura del triangolo da Zielinski;
  2. il movimento di Di Lorenzo, fatto apposta non per ricevere il pallone, ma per far entrare più agevolmente il compagno nel campo portandosi via, con il suo movimento, il primo uomo più vicino a Lozano;
  3. la delicatezza di tocco di Zielinski, che sembra restituire la palla, nella chiusura del triangolo che gli chiede il messicano, con la mano, più che con il piede.

Così come, ancora, come non far cenno ad uno dei veri gesti tecnici della serata, quello caratterizzato da Osimhen che lascia l’esecuzione del rigore al georgiano.

Cosa, questa, che denota uno spirito di squadra eccezionale, oltre che una grande sensibilità da parte del nigeriano, che  sembra quasi accorgersi che a volere il rigore calciato dal compagno è lo stadio intero.

Anzi, sembra, questa, una vera e propria investitura ufficiale (di squadra)  alle riconosciute doti da campione del georgiano.

La fame di gol

Un gesto, quello del centravanti nigeriano, che appare ancor più importante per la fame di gol che ha dimostrato in serata.

Fame che se prima non gli impedisce questo gesto di grande altruismo, sensibilità ed investitura (e che quindi lo rende ancor più importante e principesco), in seguito invece lo spinge a correre più veloce del pallone nel retropassaggio del difensore avversario al portiere, a prenderselo con un contrasto di quelli da uomo vero, e di segnare la rete tanto meritata.

Con atteggiamento identico a quello mostrato  contro il Liverpool.

Olivera

Un ultimo appunto tecnico riguarda Olivera, che questa sera ha dimostrato:

  1. non solo gamba notevole (nell’aggressione e nella conquista dello spazio, di quello spazio che tante opportunità offre alle squadre che sanno gestire i propri contropiedi con 4 passaggi dalla propria trequarti all’area avversaria);
  2. oltre ad una buona personalità (tipiche delle iniziative del genere, caratterizzate da un notevole quoziente di difficoltà per la velocità di esecuzione che richiedono);
  3. ma anche una grave pecca difensiva, la stessa a cui ci ha purtroppo abituato Mario Rui.

Nell’azione del primo gol avversario, con quella errata (per distanza dal centrale di difesa) e lenta (per scarsa velocità nell’aggressione del pallone che arriva in area ed in aria) chiusura della diagonale difensiva si è fatto saltare in testa dall’avversario e ci ha fatto prendere un gol che ricorda che il quarto di difesa è, appunto, anche un quarto di difesa, e come tale non può commettere, in fase difendente, simili  errori di impostazione e di lettura dell’azione avversaria.

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