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Kyrgios è la Marina Abramovic del tennis: un artista performativo

Non è vero che è “migliorato”: è sempre stato così, dal 2014. Gli rinfacci la maleducazione, la volgarità, gli eccessi. Lo ami, lo odi, non lo capisci

Kyrgios è la Marina Abramovic del tennis: un artista performativo
2022 Londra (Inghilterra) - Wimbledon / foto Imago/Image Sport nella foto: Nick Kyrgios ONLY ITALY

Nel 2014 Nick Kyrgios era già Nick Kyrgios. Una variabile della solita equazione che il tennis si ostina a impalcare per i suoi talenti appena esplosi: se ha ottenuto X all’età Y, possiamo prevedere che all’età Z… Al netto di legamenti fragili o fragilità psicotiche, ovviamente. E’ un processo di estrapolazione di dati istintivo che con Kyrgios ha fatto acqua da tutte le parti. Nel 2014 faceva tweener a capocchia. O pungeva col drop shot, come una zanzara: una somministrazione letale, dolorosa solo a cose fatte. Serviva indiscriminatamente bolidi a 230 all’ora, o coltellate underarm improvvise (il rispetto non sapeva cosa fosse, oggi la battuta da sotto è ormai sdoganata anche grazie a lui). Frustava col polso lo stesso dritto incrociato che avvilisce l’avversario, con una rotazione appena sufficiente a dirsi “dritto”. Chi oggi, a Medvedev demolito agli Us Open, scopre un Kyrgios “migliorato” semplicemente s’è distratto nel frattempo, abbagliato dagli sfoghi e dalle follie dell’australiano: sono otto anni che Kyrgios è così. Lo scriviamo adesso che non ha ancora vinto il suo Slam. Magari non ci riuscirà nemmeno a New York, ma in fondo poco importa.

Se proprio vogliamo definire il suo tennis allora c’è un colpo che più di ogni altro lo rappresenta. Si manifesta quando la palla resta in attesa sul dritto, un po’ più morbida del solito, più alta. Lui ruota le spalle e riavvolge la racchetta fino alla massima estensione. Ne deriva una botta piatta rovinosamente distruttiva. Non è importante la traiettoria: che finisca a mezza rete o sui teloni non ha importanza. Il più delle volte cala all’incrocio delle righe con la velocità di un fotone, un’apparizione di quattro nanosecondi. E’ tutto o niente, quel colpo. E’ Nick Kyrgios in purezza. E’ sempre stato lì.

Kyrgios è un varietà. La partita con Medvedev ne fa un compendio soddisfacente:

Ora che va in conferenza stampa e fa l’uomo maturo (“Mi sento come se stessi giocando per molto più di me stesso. Ero stanco di deludere le persone. Ora voglio che siano orgogliose di me”), Kyrgios sta giocando il suo ennesimo contropiede. In un’attività sempre più tendente al noto, al piccolo, al commerciabile, lui esemplifica la sua antitesi: il puro capriccio, l’infinita complessità. 

Il tennis è solo una parte del suo fascino. Non puoi semplicemente amare Nick Kyrgios. Ma, anche, non puoi semplicemente odiarlo. Provaci, menti a te stesso. Gli rinfacci la maleducazione, la volgarità, gli eccessi, la dismisura, le eccedenze. Poi quello urla in faccia all’avversario “Kokkinakis si è sbattuto la tua ragazza” o denuncia gli spettatori che a suo dire si ubriacano o si drogano sugli spalti dandogli fastidio, e sei di nuovo nel tunnel: lo ami, lo odi, non lo capisci. Intanto ti ha conquistato. Jonathan Liew sul Guardian ha scritto che Kyrgios è come un artista performativo, tipo Marina Abramovic.

Kyrgios è l’adolescente ciccione bullizzato che da grande, secondo un ente di beneficenza australiano, invita da anni segretamente i bambini malati di cancro a fare due tiri con lui. E’ la burbera primadonna che sfotte i giornalisti facendoli infuriare. Una volta annunciò che aveva un nuovo allenatore, non era vero. Perché? Boh, non aveva senso. E in una cultura in cui tutto deve significare qualcosa – in cui a tutto diamo un peso, a un tweet, a uno sguardo – forse l’atto più sovversivo è quello senza valore. Lasciare la bellezza nuda.

Nel tennis poi, un microcosmo a forma di bolle in cui la maggior parte dei suoi personaggi sputa banalità e ti sfida a diagnosticarle, Kyrgios ha spiattellato tutto subito, quasi con noncuranza: le cicatrici, le croste, la gioia e il risentimento, la frustrazione e il desiderio. E non gliene frega niente di cosa ne farai.

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