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Il Guardian: «Il calcio è business? In quale visione del capitalismo consumistico i clienti sono trattati come animali?»

“Il caos di sabato generato dalla incompetenza di una piccola classe dirigente irresponsabile ossessionata non solo dal profitto ma dal potere”

Il Guardian: «Il calcio è business? In quale visione del capitalismo consumistico i clienti sono trattati come animali?»

Guardate le foto, non i video. Perché una volta tanto le foto parlano più dei video. E trasmettono il senso di “stasi” di migliaia di tifosi ammassati fuori allo Stade de France: “la frustrazione silenziosa e purulenta di niente che si muove, niente cambia, niente accade, un mare di umanità contrastata che aspetta pazientemente un’ora dopo l’altra, come in coda per il pane“.

Lo scrive Jonathan Liew sul Guardian, mentre le autorità francesi accusano gli inglesi di essere arrivati in 40.000 con biglietti finti, e quelle inglesi rispondono con lettere indignate e richieste di ulteriori inchieste indipendenti. Ma l’analisi dell’editorialista va più a fondo.  “Si è trattato semplicemente di uno scoppio su larga scala di incompetenza burocratica? O di qualcosa di più sinistro?”

Liew scrive di “casualità”, e che “nessuno dei modelli convenzionali di governance del calcio offre una spiegazione soddisfacente per tutto questo. Per anni ci è stato detto che il calcio ha venduto la sua anima a scopo di lucro, che i tifosi si sono trasformati in clienti, che lo sport stesso è gestito come un business e l’euro aziendale è il re. In quale visione del capitalismo consumistico i clienti premium sono rinchiusi come animali? Quale impresa lucida scarica gas lacrimogeni sui bambini?”.

Di più, per Liew “gli eventi di Parigi di sabato dovrebbero costringerci a rivalutare ciò che pensiamo di sapere su come funziona il potere nel calcio”.

Tanto per cominciare bisogna capire che non è vero che l’economia del calcio si muove nel libero mercato: “l’accesso è limitato, la scelta è limitata, i tifosi non cambiano squadra o sport semplicemente per capriccio. Per molti versi non sono consumatori abilitati ma soggetti prigionieri e nel tempo la relazione ha riflesso sempre di più quella dinamica: una piccola classe dirigente irresponsabile ossessionata non solo dal profitto ma dal potere, non semplicemente dall’arricchimento ma dallo sfruttamento”.

“Il calcio non si è trasformato in un’utopia consumistica negli ultimi 30 anni. Stava diventando un’oligarchia: cinica, avida, riservata e intrinsecamente ostile alle persone sotto di essa. Regole e leggi possono essere piegate e sovvertite. Lo spazio pubblico deve essere rigorosamente delimitato e sorvegliato. La disinformazione non è semplicemente diffusa ma necessaria”. “Lo testimonia la fretta con cui hanno dipinto i tifosi come una marmaglia sovversiva”.

L’insoddisfacente lotta di potere tra Uefa, Fifa e i grandi club potrebbe essere all’origine di gran parte delle disfunzioni del calcio, ma probabilmente anche la cosa più vicina a un sistema di pesi e contrappesi”. “Ma la linea di fondo è che milioni di persone hanno bisogno del calcio nella loro vita, tanto quanto hanno bisogno di cibo e acqua e, finché la domanda rimarrà insaziabile, quelli con le mani sul prodotto continueranno a spremere. E così abbiamo il tableau che si è svolto sabato: la partita di club più sontuosa del mondo si tiene a pochi passi da uno dei quartieri più poveri di Parigi, mentre migliaia di uomini, donne e bambini fanno la fila per ore fuori. Stanno forzando i cancelli, soffocano, alcuni imprecano e urlano e altri si disperano silenziosamente. Ma tutti implorano di lasciarli entrare”.

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