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Il peccato mortale di Donnarumma: si è arricchito all’estero

È il nuovo capro espiatorio. Da noi la retorica sui giovani vale solo per quelli che restano a lasciarsi vessare dalle baronie. Lui ha fatto marameo ed è andato al Psg. E ora lo massacrano

Il peccato mortale di Donnarumma: si è arricchito all’estero
Db Palermo 24/03/2022 - Playoff Qualificazioni Mondiali Qatar 2022 / Italia-Macedonia del Nord / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Gianluigi Donnarumma

Un paio di mesi fa, quando ancora Donnarumma non era nemico del popolo, la Gazzetta dello Sport lo intervistò, e gli chiese conto della pizza e del caffè a Parigi. Senza peraltro approfondire sulla mancanza del bidet, o se avesse preso a camminare con la baguette sotto l’ascella. L’Italia aveva cominciato a lapidare il portiere della Nazionale ben prima di farne il capro espiatorio della mancata qualificazione al Mondiale. Il gol della Macedonia del Nord al 93′ sarebbe arrivato solo a compimento d’un percorso di vessazione alternativo a quello degli altri giovani compatrioti: esule milionario nella capitale francese, compagno di spogliatoio di Messi, invece di fare provincia con la sua leva, i Raspadori, gli Scamacca, la Resistenza autarchica del Sassuolo. Lo aspettavano al varco, questo screanzato d’un disertore.

Il dibattito è scattato, fatale, al quarto del primo tempo di Turchia-Italia, quando Under ha fatto gol infilandogli la palla sotto le gambe. È poi tracimato nello studio Rai post-partita, in un lunare contesto di ecumenica assoluzione per il ct d’un tale disastro. Mentre Mancini pontificava sul futuro di questi giovani “molto bravi” che “in Italia trovano poco spazio”, era tutto un “se Donnarumma fosse rimasto al Milan”. “Hai visto a scegliersi il lavoro pensando solo ai soldi?”. Persino Gianfranco Zola, che pure è emigrato in Inghilterra appena ha potuto: “Non so se avrei fatto la stessa scelta”.

I giornali ancora stamattina sono zeppi di questa rivoltante litania pauperista: guarda Maignan, scrivono; guarda come para bene. Lui invece, sfuggito alle intemperie fortificanti della Serie A, è finito a fare la bella vita a Parigi. Senza pena né sacrificio non si arriva da nessuna parte, lo sanno bene un paio delle ultime generazioni di “giovani” lasciati a invecchiare in cantina dal nonnismo delle baronìe. Donnarumma, come Verratti, oggi passa quasi per un rifugiato all’estero, un latitante costretto alla renitenza per trovare la libertà (professionale).

Gigio ha osato dire no alle proposte di rinnovo del Milan, uno sgarro mai dimenticato, appuntato su un post-it dell’orgoglio patrio: lo fulminano ad ogni papera. Mancini lo ha tenuto in formazione nell’amichevole della vergogna, in Anatolia, unico reduce dell’apocalisse di pochi giorni addietro. E come tale, in presenza, è stato processato per direttissima. Riconosciuto colpevole di svariati capi d’accusa: primo fra tutti, l’essersi arricchito al di là del confine.

Il nesso causale è strepitoso: fosse rimasto al Milan, Trajkovski non avrebbe segnato. Perché Donnarumma non avrebbe portato in campo confusione e incertezze tipiche del portiere col posto non assicurato. Perché invece di “soffrire” gli stenti del Psg, ora si starebbe giocando lo scudetto a San Siro, e vuoi mettere. Uno stipendio meno faraonico lo avrebbe tenuto sulla corda, teso, concentrato, affilato.

Non è un caso se lo stesso giorno in cui la stampa italiana affonda sul portiere azzurro, la Gazzetta titola in prima pagina “Tonalissimo”. Il contraltare “buono”: l’altra faccia della meglio gioventù rossonera, quella che sa stare al suo posto, conosce la virtù dell’attesa. Uno che Mancini ha ora intenzione di scongelare per il futuro, mentre la critica si congratula.

Il paradosso – ma in psichiatria dev’esserci una definizione più puntuale – è che massacriamo un nostro giovane campione perché sfuggito al bamboccismo che pure rinfacciamo alla sua generazione, mentre la parola chiave della ricostruzione della Nazionale è “i giovani”. Il messaggio isterico è: i giovani devono giocare, sì. Ma non tanto da poter poi ambire a far carriera all’estero. Non sia mai mettono la residenza fiscale a Montecarlo e non pagano più le tasse che gli italiani non vogliono più pagare (quelli che ancora le pagano). La perversione del populismo d’accatto: i soldi – quelli degli altri, ovviamente – sono il Male, vanno perseguitati, messi all’indice. La pecunia, il peccato mortale. Dickens, senza leggerlo davvero mai.

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