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Non dite ai milanesi che la cassoeula l’hanno imparata dal cuoco di Ferdinando I

Non dite ai milanesi che la cassoeula l’hanno imparata dal cuoco di Ferdinando I

Ossobuco. Ma uno si può mangiare una cosa che si chiama ossobuco? Cioè il nome è formato da due termini che indicano due fatti immangiabili: osso e buco. Che ti mangi? Un buco. Immaginate una qualsiasi domenica di una famiglia napoletana media con la mamma che annuncia: “Oggi ce mangiamm’ ‘o buco”. La reazione tendente allo scherzo sarebbe: “Si mammà? E comme c’ ‘o mangiammo ‘stu buco, c’ ‘a pummarola o in bianco?”. La reazione tendente al serio prevederebbe la telefonata al medico di famiglia: “Duttò, non è che putite venì ‘nu poco? Chella mammà oggi s’è scetata strana”.

Osbus, lo chiamano così a Milano ed è uno dei piatti della tradizione. Che poi, non è che uno vuole fare il solito confronto a base di quando noi parlavamo di filosofia loro stavano ancora nelle palafitte, però bisogna dirlo che quando lo storico bizantino Procopio di Cesarea descrive l’alimentazione dei milanesi tra il terzo e il quarto secolo, dice: “Per la mancanza di cibo molti non disdegnavano di mangiar cani, sorci ed altri animali abborriti prima per cibo dell’uomo”. E mentre loro mangiavano cani, nello stesso periodo, a Napoli viene dato alla luce il “Liber de coquina”, il più antico libro di ricette, scritto in latino. Ci sta poco da fare, lunedì sera mentre sulle tavole napoletane andrà in scena il solito trionfo di profumi e colori e sapori, nelle cucine milanesi si sentirà forte, chiaro e inconfondibile l’odore di minestrina fatta con il dado. E in qualche locale stellato intorno a piazza Duomo, qualcuno per aggrapparsi forte alle tradizioni anche come gesto scaramantico ordinerà Cassoeula, senza sapere che pure quella l’abbiamo portata noi a Milano, più esattamente un certo Ruperto da Nola o Mestre Robert, cuoco spagnolo alla corte di Ferdinando I.

Edamus, bibamus, gaudeamus! E sempre forza Napoli!

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