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C’era una volta il giovane Insigne. C’è oggi un calciatore maturo

C’era una volta il giovane Insigne. C’è oggi un calciatore maturo

I puristi del basket potrebbero agitare le torce, per cose così: da ieri sera, Lazio-Napoli 0-2, si rincorre la voce della “doppia doppia” di Lorenzo Insigne, 24enne fantasista di Frattamaggiore che è cresciuto e gioca nel Napoli. Il 3 febbraio 2016, Insigne è il primo calciatore in Europa a mettere insieme 10 gol e altrettanti assist in campionato. Da qui il termine doppia doppia, che però è improprio: quando si parla di doppia doppia nel basket, si fa riferimento a due dati diversi, e non solo perché si prende in esame una stessa partita. Le due doppie cifre, in quel caso, riguardano un elemento offensivo (i punti realizzati) e un elemento difensivo (i rimbalzi, ovvero il recupero palla in attacco o in difesa dopo un tiro sbagliato). L’assist entra in gioco nella “tripla doppia”: in quel caso, semplicemente, un cestista ha raggiunto la doppia cifra in tutte e tre le specialità del gioco.

Al di là dei paragoni con lo sport della palla a spicchi, ci sono da sottolineare e celebrare i numeri e il rendimento di un calciatore ormai uscito dal limbo dei giovani di talento, che ha raggiunto la dimensione di campione vero, verificato, riconosciuto. Lorenzo Insigne è maturo: nelle cifre, impressionanti, ma anche nel modo di gestire la partita, se stesso, lo stare in campo e il convivere con i compagni. La human version del nuovo Insigne si è vista ieri sera, al momento della sostituzione: Insigne esce, si vede lontano un miglio che non è contento. Il Lorenzo dell’altro ieri avrebbe fatto una sceneggiata, faccia arrabbiata e insulto pronto; quello di ieri è solo un musetto un po’ così, sostituito subito dallo scambio di cortesie con Sarri e dal “cinque” dato a tutti i compagni in panchina, dal primo all’ultimo. Questa si chiama maturità, appunto. Niente più roba così.

Lorenzo è cresciuto, pure in campo. La sua è una metamorfosi che parte da lontano, da Mazzarri. Quando arriva alla corte azzurra, con il toscano in panchina, è reduce da un anno di Zeman. Cioè, di giostra offensiva che a livello tattico conta il giusto, soprattutto in rapporto alle difficoltà della Serie A e agli obblighi anche difensivi che una categoria così comporta. Mazzarri lo vede poco o nulla: seconda punta atipica, 20 partite in tutto da titolare (43 in totale) con 5 gol e 9 assist. Bene ma non benissimo, anche perché il tecnico di San Vincenzo lo confina esterno a sinistra: sarebbe il suo ruolo, ma con un terzino e una mezzala che gli appoggiano la giocata. La difesa a tre di Mazzarri e i due mediani più Hamsik non gli aprono spazi, lo fanno giocare lontano dal suo habitat naturale, identificabile nella porzione di campo che va dalla trequarti avversaria fino al vertice dell’area di rigore. La mattonella per il gol alla Del Piero, un marchio di fabbrica che si porta indietro ancora oggi.

All’arrivo di Benitez, Insigne cambia. Si adatta, si evolve, si adegua. Non è il suo ruolo nemmeno quello del terzo trequartista: c’è l’appoggio del terzino, ma manca una mezzala realmente vicina. Il triangolo magico fa fatica a formarsi. Eppure Insigne, dopo un inizio problematico, carbura alla grande: in molti notano e apprezzano anche la nuova faccia del folletto di Frattamaggiore che rientra in difesa e copre tutta la fascia come richiesto dal 4-2-3-1. Benitez gli dà fiducia, cuce addosso al suo “concorrente” Mertens il luogo di “arma in corso d’opera”. Insigne è titolare e risponde bene, segna i due gol nella finale di Coppa Italia ed è l’unico giocatore dell’organico azzurro a metterla dentro in tutte le competizioni: campionato, Champions, Coppa Italia ed Europa League. Va ai Mondiali, un po’ a furor di popolo e un po’ perché Pepito Rossi non si regge in piedi. A 23 anni, può anche contare il solo pensiero. 

L’infortunio patito a Firenze cancella quello che è il miglior Insigne di sempre, almeno fino a oggi: decisivo, intenso, importante in entrambe le fasi. Tira tanto, come al solito, ma è uno cresciuto nel mito di Del Piero. Anche e ancora oggi, da star ormai affermata, chiede spesso scusa ai compagni perché ha provato a metterla dentro da lontanissimo piuttosto che cercare un passaggio semplice o un passaggio al bacio. È il dazio da pagare per lo splendido gol al Torino, 6 gennaio 2015, o per gli assist come quello di ieri sera o per Higuain in Napoli-Empoli 5-1. 

Arrivare a oggi è facile, bello, giusto. È un altro Insigne, che ha saputo fare propri i meriti di Benitez e farsi trovare pronto al suo incontro col destino, con quel modulo che così bene gli cade addosso, come a una sposa il vestito bianco. Sarri lo vede prima trequartista, poi capisce che lui largo a sinistra e Callejon dall’altra parte sono due furie, diverse e complementari. Nasce il 4-3-3, dove Insigne rilegge e riscrive la storia del terzino e della mezzala: Hamsik-Ghoulam-Insigne, l’abbiamo scritto più volte sul Napolista, è un mantra più che una catena mancina. È la cassaforte del gioco azzurro, il gruppo di piedi dove nasce la manovra. La doppia doppia di Insigne è il frutto di un’evoluzione tattica e personale, di posizioni e umori. È anche, per carità, merito dei compagni: i 10 assist diventano assist perché qualcuno, magari Higuain o Callejon, sanno come farli diventare gol. La cosa più bella dell’Insigne made in Sarri è che sembra un cocktail degli Insigne visti prima: quello ispirato e senza briglie di Pescara, quello attento alle consegne inventato da Benitez, quello applaudito dal pubblico a prescindere che Mazzarri, al San Paolo, faceva annusare o poco più. Ce n’è anche uno da togliere, quello di Napoli-Palermo e delle piazzate dopo una sostituzione. Tanto cuore, certo, ma anche un’immaturità che oggi, adesso, non esiste. Merito di Sarri, che ha trovato la chiave per entrare nel cuore di tutti. Anche in quello di Insigne la cui immagine a Verona in braccio al mister è una delle più belle di questo Napoli. Forse, anche in questo nuovo comportamento, Insigne sta imitando il suo idolo Del Piero, uno da 32.800 minuti in Serie A in 478 presenze. Cioè, 68 minuti a partita, cioè tutti i match con una sostituzione a 22′ dalla fine. Ricordate qualche sua sceneggiata? Storie di grandi squadre, di grandi giocatori. Oggi, anche di Napoli e Insigne.

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