La maglia di ieri sera mi è piaciuta, divertente, un po’ tamarra ma tant’è. Avevo dimenticato quanto potesse infastidirmi Politano
Al minuto 73, viene inquadrata una famiglia sugli spalti: mamma (ipotizzo), papà (ipotizzo) due bambini (figli, ipotizzo). La signora, che ho ipotizzato come madre, sbadiglia, i due bambini hanno lo sguardo perplesso ma ancora speranzoso, il padre (o quello che potrebbe esserlo) si guarda intorno, poi fissa un punto lontano, forse un tacchetto dello scarpino di Mario Rui. Quelle quattro facce non erano annoiate, erano forse stanche, un po’ provate dalla partita, dal fatto che la palla non entrasse – avrebbero dovuto resistere ancora sette minuti -; i bambini, perché questo fanno, speravano, si capisce, il bambino non si rassegna, sa (ancora) che fino al novantesimo e oltre può accadere ogni cosa. Il padre, o chi per lui, stringe gli occhi, sente che il match potrebbe scivolare via senza che più nulla accada, o, peggio ancora, che si manifesti la beffa, sotto forma di gol del Toro, all’ultimo minuto. La madre, ammesso che lo sia, o la zia, o un’amica, o la vicina di casa che ha portato i bambini della coppia dell’appartamento accanto allo stadio, magari per la prima volta, sbadiglia, perché? È stanca? È stufa? Si annoia? Mentre ci penso sbadiglio anche io, più o meno, un minuto dopo. Ecco, lo sbadiglio di stanchezza, di allentamento di tensione, di scioglimento di una morsa allo stomaco perché il Napoli non segna, e avrebbe dovuto già, e avrebbe potuto. Quei quattro tutti insieme mi assomigliano. Io sbadiglio, io spero ancora fino alla fine, io guardo un punto lontano cercando chissà che, magari qualcosa di meglio del tacchetto di uno scarpino di Mario Rui.
In quest’inizio di stagione avevo quasi scordato quanto potesse infastidirmi la testardaggine di Politano, ieri sera mi è tornato tutto in mente: la testa bassa, il dribbling insistito che non riesce, l’appoggio sbagliato. Voglio dimenticarmene subito.
La faccenda della Panda rubata è entusiasmante, già quando rubavano le nostre macchine quando eravamo ragazzi non faceva notizia. Raccontavamo solo la parte divertente e amara: non si sarebbe mai ritrovata. Oppure commentavamo il tentativo di proposta del famoso cavallo di ritorno, ovvero qualcuno recava la proposta di chi aveva commesso il furto: paghi 500mila lire e ti ridiamo la Punto, la Tipo, e, perché no, la Panda. Spalletti sottolinea l’ovvio, un’utilitaria rubata è solo una seccatura che capita a chiunque, ovunque.
Anche i rigori sbagliati sono una seccatura, soprattutto se li sbaglia la tua squadra, soprattutto se li sbaglia di frequente, soprattutto se li sbaglia il tuo capitano. Tre rigori falliti in un inizio di stagione sono parecchi, bisogna decidere da quale angolo osservare la questione. Se guardiamo al numero di rigori tirati da Insigne in carriera e facciamo la proporzione con quelli sbagliati, ci accorgiamo che ha una media gol molto buona, mi pare siano 36 rigori tirati con “solo” 6 o 7 errori (vado a memoria, non ho controllato). Di questi 6 (o 7), però, 3 sono degli ultimi due mesi, perciò una riflessione minima, senza condannare il calciatore, la possiamo fare. Forse c’è poca tranquillità, forse c’entra il contratto, forse no. Magari c’entra il pensiero: “Se ne sbaglio un altro mi faranno a fette” ed ecco che lo sbaglia. Bene fa Spalletti a proteggerlo e a dire che il capitano tirerà anche i prossimi, fa bene, bisogna andare avanti insieme, poi si vedrà.
Rientra Mertens, evviva, e che bella azione la sua, una serie di scambi in accelerazione chiusi dallo splendido tacco di Koulibaly, azione che poi ha portato allo stacco imperiale / imperioso di Osimhen e al gol, e alla ottava vittoria.
La maglia di ieri sera mi è piaciuta, divertente, un po’ tamarra ma tant’è.
Ho visto un’altra partita, questa rubrica è sempre meno credibile, che devo dirvi, cambiate canale.
Ricordo a tutti che questa non è la Serie A ma è la Serie Koulibaly, Anguissa, Osimhen, che vi salutano.