«Ci sarebbe da prendere a schiaffi quelli che hanno ridotto il San Paolo in questo modo», ha esclamato l’agronomo della Lega calcio di serie A, Giovanni Castelli, al termine dell’ultimo sopralluogo al manto erboso dello stadio che così com’è oggi ha davvero l’aspetto del piazzale della stazione di Molfetta, tra Trani e Barletta, cantata da Renzo Arbore. Era accorato l’agronomo e ancora più lo siamo noi. Accorati e indignati. Il pil della nostra indignazione, dopo questa performance, è aumentato di tre punti e, secondo gli esperti, la tendenza a crescere non è esaurita. Siamo esauriti noi, piuttosto.
Al centro del terreno di gioco dove il Napoli dovrebbe esibirsi al pubblico della Champions troneggia una «U» gigantesca, delle stesse proporzioni del palco che ha ospitato la maxi orchestra di Gigi D’Alessio nell’ultimo suo concerto; ai lati, invece, in segno di evidente continuità con quanto accade all’esterno del San Paolo, il visitatore può ammirare una serie di buche conseguenza delle trivellazioni fatte per piantare in profondità i pilastri della struttura mobile. I pilastri sono stati tolti, le buche sono rimaste e voglio vedere come faranno Lorenzo Insigne e Dries Mertens che, piccoli come sono, rischiano di finirci completamente dentro. Scherziamo, ma davvero è stato toccato il fondo dell’incuria e della cattiva amministrazione di un bene pubblico che tale è uno stadio soprattutto in una città che ne possiede solo un altro, il Collana, ancora più disastrato e mal curato.
Se le parole hanno un senso, dunque, prendiamoli davvero a schiaffi, solo ceffoni metaforici naturalmente tranne uno, il primo, a futura memoria. L’elenco è lungo e lo aprono due colpevoli impuniti, si direbbe a Roma, perché non hanno fatto tesoro, nonostante le promesse, degli errori compiuti nel passato e, anzi, hanno ripreso la vecchia strada. Convinti di farla franca. Il primo colpevole è, doverosamente diremo, il sindaco Luigi De Magistris fresco di rielezione eppure inaffidabile visto che, come al solito, si è professato innocente e, in subordine, vittima di un complotto renziano. L’accusa, invece, è di culpa in vigilando e – abundandis abundantia, come diceva l’immortale Totò – in “eseguendo” e qui ci perdonino i puristi se ci prendiamo il lusso di inventare vocaboli con la stessa superficialità con la quale Antonio Conte posseduto dal demone della felicità inventa superaggettivi per lodare i giocatori azzurri che davvero li meritano. Ma è doveroso visto che la telenovela sul restyling del San Paolo, che il sindaco sta interpretando in coppia con Aurelio De Laurentiis suo partner ideale in promesse, ha ormai più repliche di “Un posto al sole” con la differenza che la soap opera napoletana appassiona mentre la vicenda dello stadio mortifica e puzza di dejà vu perché ha lo stesso copione di tutte le altre pratiche iniziate e mai portate a termine dall’amministrazione.
L’altro colpevole, in realtà siamo di fronte a un reo confesso che ha diritto alle attenuanti, è Gigi D’Alessio il quale poteva e doveva prevede quello che sarebbe successo. E si sarebbe dovuto regolare di conseguenza spostando altrove la location del concerto o avrebbe dovuto chiedere ai suoi collaboratori di proteggere meglio l’erba dello stadio. Gigi, però, ha capito di averla fatta grossa e la dichiarazione di ieri gli rende giustizia: «Pago tutto io, non faccio polemiche, nessuno dovrà dire che per colpa mia gli azzurri subiscono un danno». E sta pagando, onore al merito. Un buffettino sulla guancia, prima e dopo la cura, però il cantante lo merita, anche se meno pesante di quello che va riservato al sindaco. Ai collaboratori, scendendo per li rami, va, invece, praticata una cura più energica: quante volte il San Paolo è stato ridotto così? Tante, troppe volte: o non sanno fare bene il loro lavoro o non vogliono farlo. Ora, però, si lotta contro il tempo: il terreno di gioco deve tornare ad essere un biliardo per il 1° agosto, quando il Napoli giocherà con i turchi del Besiktas. Sogno o son desto? Anche qui, fate voi ma, utilizzando un monito che mi è caro, FATE PRESTO.