“Il razzismo è rimbalzato in campo. Sono gli stessi protagonisti del gioco, talvolta, a certificare come il problema, nella nostra società, esista eccome”.
Senza pubblico sugli spalti non è andato certo via il razzismo, scrive Avvenire. Si vede in campo, oltre che sui social.
“A un’occhiata superficiale verrebbe facile sostenere che, con l’assenza del pubblico, sia più facile veicolare messaggi inclusivi, eppure l’esperienza empirica di quest’ultimo anno dimostra che, sebbene con gli stadi chiusi e i tifosi sul divano sia scomparsa la eco di ululati e fischi di matrice razzista, l’argomento sia ben lungi dall’essere sparito“.
Il razzismo si è spostato in campo.
“Il razzismo è rimbalzato in campo. Nel relativo silenzio degli stadi vuoti sono gli stessi protagonisti del gioco, talvolta, a certificare come il problema, nella nostra società, esista eccome”.
L’ultimo caso è quello di Cadice-Valencia, con il presunto insulto di Cala a Diakhaby, ma prima c’era stata Psg-Basaksehir e il caso dell’assistente arbitrale Coltescu, poi prosciolto dalle accuse.
Adesso, proprio nel momento in cui, soprattutto in Inghilterra, si parla del ritorno del pubblico negli impianti,
“si è scoperchiato il vaso di Pandora del razzismo veicolato attraverso i social network”.
Ne hanno parlato l’ex romanista Rudiger, Rashford,Willian. Di più: Rangers, Swansea e Birmingham City hanno recentemente annunciato una settimana di boicottaggio social, nel tentativo di mettere le aziende della Silicon Valley al cospetto di una situazione irricevibile.
“Già prima del lockdown del marzo 2020 negli stadi si era verificato un aumento degli episodi discriminatori con lo sport quale pretesto, episodi ora confinati nella sconfinata cloaca social che ha quale caratteristiche la semplificazione disarmante di un tema complesso e, proprio per questa sua specificità, non univoco. Dallo schermo gli ululati non si sentono, ma il razzismo tocca le persone: non c’è nulla di virtuale”.