Il ricordo da brividi dei testimoni dell’evento-focolaio inglese: 60.000 persone ad Anfield e poi nei bar, mentre l’Europa chiudeva tutto
Alvaro Morata un anno fa segnava ancora per l’Atletico Madrid. In uno stadio – Anfield – con 60.000 persone una addosso all’altra, senza mascherine. 3.000 di queste venivano da Madrid, che era ormai ad un passo dal lockdown. “Sembrava tutto ancora normale”, ricorda un anno dopo uno dei testimoni di Liverpool-Atletico, che passerà alla storia come l’ultima partita del vecchio mondo. E, anche, come la partita-focolaio che innescò il contagio di massa a Liverpool.
La BBC racconta l’atmosfera di quella notte paradossale raccogliendo le voci dei testimoni. Un viaggio che sembra un horror movie, con la gente inconsapevolmente diretta verso la catastrofe.
Un’indagine successiva ha rilevato che quella partita è stata uno dei due principali eventi, insieme al Festival di Cheltenham, che “ha causato maggiore sofferenza e morte”.
Quando il Liverpool perse per 1-0 l’andata a Madrid il 18 febbraio, c’erano solo nove casi Covid confermati nel Regno Unito. “Era una normale trasferta europea. Tutti erano nei bar a divertirsi. Si parlava di coronavirus ma per noi stava succedendo qualcosa in Cina, molto lontano da lì”.
John Murray, parte del team di telecronisti di BBC Radio 5 Live in entrambe le partite, descrive un’atmosfera diversa:
“Quando siamo andati in Spagna, abbiamo deciso deliberatamente di stare per conto nostro. C’era già la sensazione che sarebbe successo qualcosa.”
Il giorno prima della gara di ritorno ad Anfield, Jurgen Klopp dice che “alcune cose sono più importanti del calcio” esortando giocatori e tifosi a non stringersi la mano. Quella sera, la partita di Champions League del Valencia con l’Atalanta si gioca senza pubblico. La partita di Premier League dell’Arsenal contro il Manchester City, in programma per quel mercoledì, viene rinviata “come misura precauzionale”. Era chiaro che stava cambiando tutto. In quel momento la Spagna aveva il sesto numero più alto di casi di coronavirus confermati al mondo, in rapida crescita.
Il giornalista spagnolo Hugo Condes della stazione radio Onda Cero arrivò a Liverpool il giorno prima della partita e racconta:
“Quando atterrammo ci chiedevamo se ci avrebbero semplicemente rimandato indietro senza farci nemmeno scendere dall’aereo”, dice. “Quando siamo arrivati, ho visto foto di persone che facevano incetta di cibo e carta igienica, era come un film di zombi”.
E’ in quella atmosfera che Liverpool-Atletico diventa la partita-limite, che viene vissuta proprio come l’ultima occasione di vivere una partita liberamente, di fare festa come se nulla fosse, prima di andarsi a schiantare nella tragedia. Un contesto non più riproducibile. Un unicum, che la BBC racconta molto bene.
Alle 16:30 l’Organizzazione mondiale della sanità ufficializza la pandemia. Murray, l’inviato della BBC, ricorda:
“Ascoltai il bollettino di notizie in diretta, ed eravamo lì, ad aspettarci 60.000 fan ad Anfield, di cui 3.000 a cui in qualche modo era stato permesso di viaggiare da Madrid”.
Ma per i tifosi, il coronavirus non era il problema principale. “Sembra pazzesco ora, ma tutto quello di cui abbiamo parlato era che stavamo perdendo”, dice Gibbons. “Non mi è mai passato per la mente di non andare allo stadio. Siamo andati a bere qualcosa come al solito, in un bar di Anfield. La nostra unica preoccupazione allora era che eravamo a due vittorie dal titolo: cosa sarebbe successo se avessero fermato il campionato?”
Un tifoso riassume l’atmosfera così: “Se doveva esserci un’ultima partita nella storia del calcio, doveva essere quella“.
Dopo la partita i tifosi si riversano in città.
“L’atteggiamento a Liverpool è che se sembra che chiuderanno tutto, tu esci e fai tutto quello che puoi fare come se non ci fosse un domani”, dice Gibbons. “La cosa sensata sarebbe stata quello di stare alla larga, ma questa non è una città sensata”.
“Quando la partita è finita, siamo andati al centro”, dice Condes. “C’erano molti tifosi e giornalisti spagnoli lì, tutti molto felici”.
Il primo ministro Boris Johnson ha annunciato il lockdown nazionale il 23 marzo e il Liverpool non è tornato a Melwood fino alla metà di maggio.
“Quando tornammo in Spagna, la gente non poteva credere che il governo avesse permesso ai tifosi di viaggiare”, dice Condes. “Tre giorni dopo, hanno annunciato il lockdown nazionale”.