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Spinosa: «A Capodimonte mancano i napoletani, non i turisti. Dov’è finito il progetto del tapis-roulant collegato alla metro? Caravaggio è aperto solo per le visite guidate»

Spinosa: «A Capodimonte mancano i napoletani, non i turisti. Dov’è finito il progetto del tapis-roulant collegato alla metro? Caravaggio è aperto solo per le visite guidate»

Guai a chi gli tocca Capodimonte. Quel Museo è cosa sua – in senso non mafioso naturalmente – lo ha diretto per tanti anni e ne conosce vizi e virtù. In sostanza, Nicola Spinosa manda a dire al nuovo direttore, monsieur Sylvaine Bellenger, che ne sa più di lui – anche se lo stima – e che, di conseguenza l’ultima parola, quella definitiva, gli tocca di diritto. Stiamo al gioco e gli diamo spazio: «Il problema della comunicazione è reale, ma non è la ragione di tutti i mali di un Museo che – e qui sta il punto – ha bisogno soprattutto di parlare in napoletano».

Significa che deve ridimensionare il suo ruolo e rassegnarsi ad una presenza più modesta? «Neanche per idea, voglio dire il contrario ed ora mi spiego meglio. I visitatori che mancano non sono gli stranieri, che più o meno vengono, ma i napoletani. Il Museo, cioè, deve rivolgersi soprattutto al suo pubblico naturale e questo Capodimonte non lo fa. Prendo a riferimento il periodo natalizio che ci siamo lasciati alle spalle: a San Martino è arrivato più pubblico richiamato – opportunamente – dalla bellezza dei presepi ma anche da una buona campagna di marketing. Capodimonte, al contrario, non aveva chance da giocarsi ed è rimasto al palo».

Si poteva fare di più? «Perché mi obbligate ad essere cattivo? Negli anni in cui abbiamo organizzato eventi di grande richiamo, e non penso solo alle Mostre che hanno girato il mondo, il pubblico ha risposto, eccome, e abbiamo battuto cassa».

E allora? «Allora niente da aggiungere, il Museo di Capodimonte, che davvero è uno dei più belli d’Italia, deve ritornare ad essere vivo e ad esaltare il suo straordinario patrimonio».

Ora è morto, insomma? «Fate voi, non aggiungo altro».

Qualche altra cosina, però, il Soprintendente, che sta ultimando un volume su Solimena e sta preparando mostre tra Roma, Napoli e Firenze, l’aveva detta prima, riconoscendo che Capodimonte appare quasi un miraggio rispetto al centro della città: «È sacrosanta verità ma dobbiamo prendercela con noi stessi. Abbiamo sepolto in chissà quale cassetto regionale il progetto di fattibilità che con l’ausilio di un tapis roulant avrebbe permesso di collegarsi con la linea della metropolitana Miano-Piscinola che passa proprio sotto il Bosco. Solo così il turismo museale avrebbe, come dire, volato sul caos del traffico e sarebbe stato possibile agevolare un collegamento anche culturale tra Capodimonte e gli altri Musei. Il tapis roulant è finito nel dimenticatoio ed è stato sostituito da una funivia che galleggerebbe sulla Sanità. Idee balzane, ma lo vogliamo o no il Polo museale? Se lo vogliamo l’unica strada è quella di recuperare il progetto che il compianto Silva consegnò a Bassolino. Il mio amico Bellenger dovrebbe battere su questo punto, io ci ho provato, faccia lo stesso anche lui, magari ci riesce. Ma non basta arrivare bene a Capodimonte, il problema vero è starci bene».

Vuole dire che mancano veri motivi di interesse? «Anche questo, ma Capodimonte e il Bosco sono una zona a rischio. Porta Piccola e Porta Grande sono piazze di spaccio e il Bosco è sporco e insicuro. Occorre, quindi, mettere in sicurezza il Bosco e garantire una vigilanza assidua e severo che il Museo non può garantire perché il numero di vigilanti è del tutto inadeguato. Come quello dei restauratori. Garantiamo il minimo e solo dopo aver raggiunto questo traguardo potremo pensare ai ristoranti. Non voglio essere più realista del re ma a Bellenger e a tutti noi vorrei ricordare che il secondo piano del museo, quello che ospita Caravaggio, è chiuso e viene aperto solo e se si organizzano visite guidate». E qui mettiamo punto.

Il direttore di Capodimonte Bellenger: «È il secondo Museo d’Italia eppure a Napoli è invisibile. Il problema si chiama marketing. Per ora faccio l’idraulico»

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