Sul Wall Street Journal: accusati in primavera di aver avuto un accesso privilegiato ai tamponi, ora potrebbero aiutare a convincere gli scettici
Vaccinare prima gli atleti, soprattutto quelli famosi. Per farne un veicolo pubblicitario per una campagna vaccinale da 330 milioni di persone coinvolte che potrebbe presentare più di un problema. Il piano è trasformare i team dello sport, accusati nella prima ondata della pandemia di aver ottenuto un trattamento preferenziale, in influencer. Negli Stati Uniti stanno pensando di rivoluzionare le gerarchie di accesso alle cure. Lo scrive il Wall Street Journal.
Sono numerose le ricerche che dimostrano che le persone importanti che ricevono il vaccino, spingono gli altri aiutando a superare lo scetticismo diffuso specialmente nella comunità nera.
“Posso immaginare che le celebrità dello sport svolgano un ruolo molto costruttivo nel combattere l’esitazione da vaccino”, ha detto all’autorevole quotidiano americano Harvey Fineberg, ex preside della School of Public Health di Harvard ed ex presidente dell’Istituto di Medicina. “Immaginare una campagna che coinvolga gli sport professionistici. “Rimettiamo tutti in gioco” potrebbe essere uno slogan”.
Fineberg è coautore dello studio ufficiale, del 1976, sullo sforzo di diffondere un vaccino negli Stati Uniti per una temuta epidemia di influenza che non si è mai materializzata. E dice che è perfettamente sensato lasciare che atleti, celebrità e altri influencer facciano lo assumano anticipo, se ciò li può trasformare in ambasciatori ufficiali del vaccino”.
Ma dal punto di vista della comunicazione l’idea rischia di passare invece come un ulteriore trattamento preferenziale, diventando poi controproducente.
“Se il messaggio è che io, giocatore di football multimilionario, non posso aspettare il mio turno in fila, beh, questo è un messaggio forte in sé”, dice Saad Omer, membro del comitato che sta studiando le priorità nell’allocazione del vaccino.
Ma è proprio nell’eventualità che la vaccinazione di massa presenti effetti collaterali, che l’esempio potrebbe aiutare ad arrestare una pericolosa ritrosia a vaccinarsi. Durante la pandemia di influenza suina nel 2009, le figlie di Obama si vaccinarono per l’H1N1 e hanno fatto la differenza nella disponibilità dei genitori a far vaccinare i propri figli, indipendentemente dall’ideologia o dall’appartenenza al partito.