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La forza del Napoli è la religione del gruppo

La forza del Napoli è la religione del gruppo

Facciamo gli scongiuri ma se a maggio dovesse servire una immagine capace di trasmettere ai posteri la gioia per una impresa storica appena compiuta non dimentichiamo l’abbraccio che Gonzalo Higuain, sangue caliente argentino in salsa napoletana, ha strappato ieri pomeriggio a Maurizio Sarri che, al contrario, di “caliente” ha molto poco abituato com’è a comunicare con il drone e altre diavolerie del genere, velocissime ma fredde come una punta di ghiaccio che ti cade sulla schiena mentre prendi il sole. (E sto proprio pensando allo spot coloratissimo della bevanda e a quella secchiata di acqua gelida che cade sul fondoschiena non coperto dal bikini ridottissimo indossato da due bellissime bagnanti).

Finiamola qui con i paragoni che fanno volare pericolosamente la fantasia e concentriamoci, invece, sul gesto bellissimo del nostro impareggiabile goleador che va ben oltre la gratitudine dell’allievo nei confronti del maestro che lo ha rigenerato issandolo ai vertici della classifica dei cannonieri europei e aiuta a capire l’importanza del lavoro che mister Sarri ha svolto in meno di sei mesi.

Quell’abbraccio, a ben riflettere, è la sintesi di quanto è avvenuto in questi mesi. E di un work in progress caratteriale che ha del prodigioso: un Higuain così calato nella sua parte di trascinatore della squadra non lo avevamo mai visto. E, forse, lo abbiamo compiutamente scoperto proprio in quel modo vistoso e assolutamente meridionale di ringraziare l’allenatore.

Sarri, in omaggio al suo carattere, si è sforzato di ridimensionare lo slancio carico di affetto e di riconoscenza del suo giocatore spiegandolo solo con la gioia del campione per aver messo a segno un gol di testa che non è proprio nelle sue corde per giunta ottenuto in esecuzione di uno schema a lungo provato in allenamento, ma c’è dell’altro in quella esplosione di gioia ed è giusto sottolinearlo. Avvertiamo, a scanso di equivoci, che qualsiasi confronto con il lavoro fatto in precedenza da Ventura, Reja, Mazzarri e Benitez è destituito da ogni fondamento perché sarebbe poco elegante e, peggio ancora, fuorviante: loro, i mister che hanno preceduto Sarri sulla panchina azzurra, hanno fatto bene o male il loro lavoro, ma lui ha fatto molto di più perché ha prima teorizzato e poi realizzato un autentico miracolo. Questo Napoli, infatti, è una orchestra con un unico solista – o al più due se al Pipita volessimo aggiungere anche il Pepe Reina che lo merita anche per la risposta esemplare che ha inviato via tweet agli incivilissimi frequentatori dello stadio di Bergamo che chi sa perché si chiama Fratelli d’Italia e non Rabbiosi d’Italia – nella quale i calciatori non recitano a soggetto e sanno cosa è giusto e come farlo. Giocano in trenta metri, attuano il fuori gioco con una freddezza che è figlia di applicazione e di sincronie perfette, e ripartono puntando la porta avversari con una serie di schemi mandati a memoria. Tutto questo è frutto di una mentalità che prima non c’era ed ora è radicata e esalta l’impegno di calciatori che sembravano in disarmo: l’esempio di Raul Albiol a questo proposito è illuminante, adesso è un campione rigenerato e ha voglia di dimostrarlo.

La religione del gruppo, quindi, dalla quale discende la capacità di mascherare anche uno stato di forma non proprio al top che anche a Bergamo si è evidenziato. Se tutto questo è vero, e lo è, Higuain è corso da Sarri e lo ha abbracciato a nome di tutti, anche a nome di Chiriches che quando è giunto a Castelvolturno sfoggiava una cera da funerale ed ora è felice come una pasqua. A pensarci bene, all’appello manca solo Gabbiadini, ma anche lui, vedrete, si unirà al coro. E quando questo accadrà sarà davvero un bel giorno perché Manolo può dare al Napoli quel pizzico di potenza e di imprevedibilità che ora manca.
Carlo Franco

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