Don Maurì, se ci nascondiamo al riparo della sagoma del nostro terribile Hulk che ora si concede anche il colpo di tacco e la mezza veronica facciamo il gioco del nemico. E se il nemico, per colpa di un calendario che più infame non avrebbe potuto essere, ha le sembianze di Cigarinx e il sorriso a denti stretti di Denis che vorrebbero vedere calcisticamente “morto” il Napoli, i cavoli sono davvero amari. Cosa voglio dire? Diciamolo senza inutili giri di parole: un mese fa la stessa Roma chiusa ermeticamente a catenaccio come una provinciale a caccia disperata di punti – ma è vero, come dice Max Gallo che non poteva fare di più e, quindi, non può essere crocifissa – l’avremmo tranquillamente battuta e avremmo portato a casa i tre punti. Garantendo ai giallorossi lo stesso trattamento – in fatto di gioco e di incisività offensiva ai nostri – riservato alle truppe cammellate di Allegri, Sosa e Mancini. Due o tre Pallotta e via con tanti saluti alla Rometta che tenta di restare agganciata al giro delle grandi ma è già stata ingoiata dalla Juventus.
Ieri, invece, le cose sono andate diversamente e il cronista, come tanti altri, ne ha avuto contezza fin dai primi minuti di gioco, esattamente da quando Gonzalo Higuain ha storto il muso perché Insigne, per la seconda volta, non aveva crossato per lui scegliendo di tirare maldestramente a lato. Ormai sappiamo come vanno le cose: il Pipita esprime il suo dissenso a gesti e estraniandosi dalla manovra collettiva che, soprattutto nello schema di Sarri, impone a tutti, e quindi anche alla prima punta, di non attendere che la palla arrivi morbidamente con un tocco in profondità o con un cross calibrato per la sua cabeza, ma, al contrario, deve andare a prendersela arretrando ed entrando nel vivo del gioco. Fino a prima di Bologna lo ha fatto in modo esaltante e i risultati sono stati straordinari collocando il Pipita al vertice dei valori europei ma da due partite, forse per effetto di una stanchezza più mentale che fisica, il campione ha ripreso a gesticolare come l’anno scorso: è un bruttissimo segnale e il tecnico lo ha capito assai prima del cronista. E per questo ai microfoni del dopopartita si è sciolto in elogi sperticati per la squadra che, certo, non li aveva meritati. Pur dominando per possesso palla e intensità di spinta. Ma a spingere come ha fatto ieri il Napoli non si abbattono neanche i birilli, figuriamoci quei marcantoni che si chiamano Rudiger, Manolas e Nainggolan. Senza contare quel portiere che, ha ragione Anna Trieste, ha il nome di un codice fiscale.
Tutto ciò premesso e considerato, cosa tocca fare? Qui il cronista fa tre passi indietro e si affida toto corde al tecnico che ha mostrato di saperci fare tatticamente e di essere un buon fratello maggiore per i giocatori che il diritto ad essere un po’ stanchi e svuotati di energie mentali ce l’hanno eccome dopo il tour de force al quale sono stati sottoposti tra campionato e coppe. Se questo è vero, e lo è, è il momento di chiamare in causa anche l’altro “don” di Castel Volturno, Aurelio De Laurentiis, che non può sottrarsi all’obbligo di mettere mano alla tasca e completare, magari dopo di essersi liberato di qualche contratto tanto costoso quanto inutile, l’organico della squadra che non è competitivo rispetto a quello di Inter e Juventus. L’invito a De Laurentiis è pressante anche perché il nostro beneamato presidente ha un carattere che per certi versi è molto simile a quello del Pipita: quando le cose vanno storte si rifugia nella filosofia. E chi si è visto si è visto, come dicono a Cambridge. Lo ha fatto anche ieri sera al termine della partita: «Questo è il calcio italiano – ha detto – a noi non resta che adeguarci». Cosa avrà mai voluto dire nessuno lo saprà ed è proprio quello che lui desiderava in quel momento. Preside’, non scherziamo con le parole che possono essere più incendiarie del fuoco: per adesso non è successo niente, ma i margini di tolleranza degli errori si sono pericolosamente assottigliate. E due punti buttati con la Roma aggiunti ai due punti buttati con il Carpi fanno quattro. A buon intenditore non c’è bisogno di aggiungere altro.
Carlo Franco