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Non è vero ma ci credo: la porta di Reina contro l’Inter era protetta dal Munaciello

Non è vero ma ci credo: la porta di Reina contro l’Inter era protetta dal Munaciello

Mia nonna Concetta, napoletanissima tanto da parlare solo in napoletano, aveva abitato con noi al Vomero per un paio d’anni. Era molto scaramantica e io che avevo nove o dieci anni m’impregnavo di certe sue credenze. Se facevo girare per gioco una forchetta nel piatto o una ceneriera sul tavolo, lei urlava quasi: nun girà, ca porta sfurtuna! E mi spiegava poi che con quel gesto facevo girare la fortuna, ora benevola con noi, da un’altra parte.

Un’altra credenza che m’inquietava era quella del MunacielloQuando succedeva in casa qualcosa d’inspiegabile, come quando non si trovava più qualche oggetto, nonna Concetta diceva: nun te preoccupa’, forz’ è stato ‘o munaciello. E mi tranquillizzava spiegandomi che il Monacello era uno spirito benevolo che proteggeva la casa. Ma io che ero un po’ scettico e un po’ scugnizzo pensavo: Protegge la casa ma si fotte le cose… Però queste credenze di Nonna Concetta mi condizionavano.

Il giorno che a scuola, alle elementari, presi un inatteso ottimo voto in matematica, indossavo un gilet di camoscio, tipo cowboys, che mi avevano regalato i miei. Da quel giorno, ogni volta che sapevo d’essere interrogato indossavo il gilet alla Pecos Bill e invece di sentirmi “il leggendario eroe del Texas” mi sentivo “il leggendario studente del Vomero” che superava tutte le interrogazioni in ogni materia.

Ormai ero convinto di aver trovato il mio amuleto portafortuna, così, quando passai alle medie, poiché il gilet non mi entrava più, ne tagliai una parte a forma di disco. Lo infilavo sotto la camicia quando dovevo essere interrogato.

Funzionò fino a una drammatica interrogazione sempre di matematica. Avevo tralasciato di studiare per alcune lezioni e poi avevo cercato di recuperare rimpinzandomi di regole in una sola serata prima di quella mattina. Le professoressa mi mise un bel 3 e disse una frase che mi restò impressa: La matematica è come una medicina: a piccole dosi fa bene, ma ad alte dosi può uccidere.

Tornando a casa riflettei a lungo sulla faccenda e facendo un esame di coscienza, capii che quando avevo preso buoni voti era perché avevo studiato seriamente, con costanza e non grazie alla pezza del gilet che così finì in un cestino di Piazza Medaglie d’oro.

All’epoca non lo sapevo, ma con il frammento del gilet avevo creato un mio amuleto apotropaico, cioè un oggetto cui attribuivo il potere di allontanare influenze maligne. Il termine deriva dal greco apotépein che significa allontanare e questo ci fa capire da quale distanza nel tempo arrivi l’atavico il bisogno di sentirci protetti da influenze negative.

Nel mondo della scaramanzia ci sono amuleti riconosciuti a livello generale, come il corno rosso, i santini, le collane d’aglio, l’acchiappa sogni, il gobbetto eccetera, e poi ci sono quelli personali che ognuno si costruisce secondo le proprie credenze. Di solito, quando qualcosa ci va bene, siamo portati a indagare circa i gesti che avevamo compiuto prima dell’evento favorevole, o a cosa indossavamo, o a ripensare  al percorso fatto e così via.

 

Molti sportivi hanno i loro amuleti o riti scaramantici, talvolta bizzarri. Si dice che Felipe Massa, quando le qualifiche vanno bene, il giorno dopo, per la corsa, indossi le stesse mutande del giorno prima… Come non ricordare la bottiglietta d’acqua santa del Trap ai mondiali coreani, la cerata gialla di Spinelli che spiccava dalle tribune livornesi, o il cappottone che Ulivieri indossava anche con un caldo infernale. Pare che Tardelli abbia giocato la finale mondiale con un santino infilato nel parastinco e che Vettel corra con una medaglietta di San Cristoforo in una scarpa. E meno male che non fa la maratona… 

Si dice inoltre che Rafa Nadal allinei scrupolosamente le bottigliette d’acqua con l’etichetta esposta verso il campo mentre Serena Williams faccia rimbalzare la palla cinque volte prima di battere. Gigi Riva in Nazionale giocava con il numero 11 e quella volta che indossò il 9 nel ’67 in Italia – Portogallo, si ruppe una gamba. Ma diciamo anche che Maradona quando era al Barcellona si spezzò una gamba, e non credo non indossasse la solita 10.

Se sono agnostico nei confronti degli amuleti, sono scettico nei confronti di ciò che si crede porti sfortuna: il gatto nero, il passaggio sotto le scale, gli specchi rotti. Se fosse vero, chi ha un gatto nero in casa dovrebbe morire tutti i giorni come chi lavora con le scale, e i vetrai che trafficano con gli specchi dovrebbero subire guai per millenni. E così per i numeri. Il 13 da noi dovrebbe portare fortuna mentre all’estero non lo trovi neppure nelle numerazioni delle stanze di molti alberghi perché si ritiene porti sfortuna. Siccome penso che i numeri non abbiano il GPS, non posso pensare che un numero assuma un influsso completamente diverso varcando un confine.

Intanto sappiamo che i napoletani portano la mala nominata in confronto a questi temi mentre invece tutto il mondo ha le sue scaramanzie. Il fatto di non parlare di scudetto, non è una precauzione solo nostra. In un libro famoso di Hemingway (il vecchio e il mare) si può leggere questa frase: Non lo disse perché sapeva che se diceva una cosa bella poteva non accadere. Ed Eduardo ci mette in guardia affermando che: essere superstiziosi è da ignoranti, ma non esserlo porta male.

Per quanto riguarda i riti scaramantici del Napoli, conosco solo quello che vedo in tv. Vedo che all’uscita degli spogliatoi, sulla parete che fiancheggia la scala che porta sul terreno di gioco, sono appesi vari quadretti con immagini sacre. Mazzarri li sfiorava portando un bacio con la punta delle dita. Invece vedo Sarri che si abbassa a toccare il primo gradino, prima di salire. Non ho mai capito se si tratti di un gesto scaramantico o se raccolga un mozzicone da mettere in tasca…

Ora mi rifaccio al Non è vero ma ci credo di Peppino de Filippo per dare un senso alle modalità con cui vediamo le partite del Napoli in tv. Fino all’Empoli compreso, ascoltavamo la telecronaca del simpatico Carlo Alvino finché per l’ennesima volta, con gli azzurri in difficoltà, pronunciò la frase che doveva essere rassicurante e che con Benitez e prima con Mazzarri era spesso usata durante la telecronaca: chi joca bell nun po’ mai perdre. Al che mio figlio mi fece notare che ogni volta che si sentiva quella frase, andava a finire male. Da allora ci sorbiamo i commenti dei vari cronisti che seguono il Napoli.

Nell’occasione di Napoli-Inter, mentre la partita stava per iniziare ho voluto provocare gli altri ospiti del mio soggiorno e con il pollice sul tasto giallo del telecomando ho chiesto: che faccio, giro e metto Alvino?. Un coro disperato: Nu’ girà ca porta sfurtuna! La voce di Nonna Concetta si era materializzata nella stanza!

Cosa credete che abbia fatto allora? Volete un aiutino?

Pensate: il Napoli ha vinto anche con un bel po’ di fortuna e con la porta di Reina che sembrava protetta dal Munaciello di mia nonna.
Leo Prina 

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