Dodici leoni e una splendida leonessa, Flora Aida Piccaglia, brasiliana di nascita ma sangue italiano nelle vene perché la sua famiglia è originaria di Zocca, il paese emiliano dove molti anni dopo di lei nascerà Vasco Rossi. Flora è la moglie di Vinicio e ancora oggi accarezza il pelo del suo leone come faceva prima che scendesse nell’arena del Vomero. Segnando gol a raffrica e impegnandosi alla morte per la sua camiseta.
Il loro amore è una storia tenera, irripetibile ai nostri giorni. Li abbiamo ritrovati come li avevamo lasciati, uno di fronte all’altro, lui al tavolo dove si presentava il libro dedicato al “suo” Napoli che fece faville quando Maradona non era ancora nato e lei in prima fila, attentissima ma felice del ruolo che ha scelto per amore a fianco del campione che i napoletani non hanno mai smesso di amare. Dedicandogli perfino una sorta di piccolo tempio calcistico che trionfa al centro di un negozio, come hanno fatto due commercianti del Vomero che hanno raccolto le immagini più belle del Napoli plasmato da Vinicio che nella foto più grande ci appare circondato dai suoi ragazzi. Nominiamoli tutti, sono loro gli undici leoni: Carmignani, il mitico Gedeone, Bruscolotti detto la mascella di Sassano, Pogliana, La Palma, Orlandini, Ciccio Esposito, Burgnich la vecchia quercia, Juliano, Braglia mitraglia e Massa, Peppeniello come il timoniere dei fratelloni di Castellammare, cioè capace di cantare e di portare la croce.
Con l’aiuto di Marcello Altamura, Franco Esposito, straordinario domatore di storie e spietato cacciatore di notizie (le chiama “saracche” e per non rivelarle ai concorrenti diceva a Gino Palumbo, il suo capo, di averle nascoste nel “manicone”), ha dedicato a questi due ragazzi ottantenni il suo ultimo libro – “Dodici leoni”, per Absolutely Free editore – che racconta le imprese del Napoli allenato da Vinicio rivoluzionario come è quello di Maurizio Sarri. Due Napoli quasi speculari, insomma, animati dalle stesse ambizioni di primato tecnico e di punti, ma profondamente diversi perché ognuno è figlio del suo tempo. Se ci pungesse vaghezza di spingerci più avanti nei paragoni qualcosa verrebbe fuori, ma è perdita di tempo: Gonzalo Higuain, Marek Hamsik e Lorenzo Insigne hanno poco o niente da spartire con Sergio Clerici, il centravanti brasiliano anche lui tutto genio e sregolatezza, con Totonno Juliano, e con Giorgio Braglia, capelli lunghi secondo la moda del tempo gambe di gazzella e la foto di George Brest sul comodino, che Vinicio trasformò da giocatore che vivacchiava nelle retrovie in un campione che, utilizzando al meglio l’arma della velocità, diventò un cannoniere aggiunto di sicuro affidamento. Storie diverse che il libro ci restituisce ancora più ricche di fascino rispetto all’originale. Anche perché Franco Esposito le ha scritte con il cuore al punto da commuoversi quando ha raccontato il primo incontro con Vinicio. 0’ lione arrivò allo stadio esibendo vistosissime scarpe gialle che per scarsa eleganza avrebbero retto il confronto solo con le “superba” che Maradona indossò sotto lo smoking per la prima del San Carlo.
Ma torniamo ai due Napoli della leggenda – il primo – e della speranza – il secondo. L’unico paragone che regge al tempo, a pensarci bene, è quello tra Totonno Juliano, bandiera di quel Napoli, e Marek Hamsik, capitano della pattuglia azzurra che lunedì sera al San Paolo tenterà il sorpasso sull’Inter che vale il primato temporaneo e autorizza sogni che per scaramanzia devono, per ora, restare nel cassetto. Totonno e Marek, garretti solidi e fisico da gladiatore, sono entrambi attaccatissimi alla maglia anche se solo il primo è napoletano verace mentre l’altro è nato a Banskà Bystrica piccola città slovacca e ha imparato a giocare al calcio alla scuola dello Juplie Padliavice a differenza di Totonno che venne scovato da Mimì De Nicola su un campetto di San Giovanni a Teduccio e fu acquistato dal Napoli per due serie di magliette e pochi spiccioli.
Storie in apparenza minime che, però, compongono un libro che riesce a dare al lettore emozioni straordinarie e anche argomenti per risalire dal calcio alla scena della vita. Anche perché, come scrive splendidamente Giuseppe Pacileo nella prefazione, “da circa un secolo Napoli subisce l’influsso di un satellite detto pallone che ne permea il viver quotidiano, più o meno come la luna influisce sulle maree”. E infiamma gli animi, perfino quelli dei giornalisti che a quel tempo si sfidavano a duello. Come fecero Gino Palumbo e Gianni Giuanin Brera nella tribuna di San Siro prendendosi a sberle, e ancora Palumbo che venne sfidato a duello da Antonio Scotti quando il “Mattino” e il “Roma” si amavano poco o niente. E qui chiudo, eludendo la vostra scontatissima domanda: chi li vinse i duelli? Leggete i “Dodici leoni” e lo saprete perché i verdetti sono stati rivelati con grande maestria da Franco Esposito che è stato ed è un raffinatissimo scrittore di pugilato.