In tema di comunicazione, Napoli va a traino. L’agenda setting non la detta quasi mai, fa notizia quasi esclusivamente quando espone i propri lati peggiori. L’arresto di uno spacciatore droga, o presunto tale, equivale a due pagine di cronaca e persino un richiamo nazionale se il personaggio si chiama Genny e il soprannome è ’a carogna. O ancora la vicenda dei biglietti gratuiti per lo stadio ai consiglieri comunali, vicenda che incredibilmente tiene banco – anche a Napoli – da un mese, come se vivessimo in Scandinavia. Biglietti gratuiti che hanno innescato un altro dibattito surreale che ha avuto come protagonista Giletti. Sì, Giletti. Roba da Specchio segreto di Nanni Loy. O da croci con la mano smerza, fate voi.
Quando, invece, Napoli prova a porre un tema serio, ne esce tristemente sconfitta. Sulla ribalta nazionale e in parte anche su quella locale. Un tema serio ha provato a porlo ieri sera Lorenzo Insigne. «Non voglio alimentare polemiche ma credo che i tre calci che ho subito in tre diverse partite sul ginocchio operato non siano casuali». Insomma, secondo Lorenzinho gli avversari mirano al suo punto debole. A colpire la fragilità di un calciatore che Arrigo Sacchi lo scorso anno definì il talento più importante del calcio italiano, che ha già esordito in un Mondiale, che a 22 anni ha segnato il suo primo gol in Champions – memorabile punizione al Borussia Dortmund. Un calciatore che però non riesce ancora ad essere percepito su scala nazionale.
Un po’ per errori propri e, come detto, un po’ per carenze del sistema mediatico napoletano che fa notizia solo quando espone il peggio di sé. Insigne fa notizia quando esce dal campo e ha un moto di stizza – invero poco comprensibile – nei confronti del compagno (Mertens) che entra; quando viene fischiato dal San Paolo (l’anno scorso è capitato alla prima partita ufficiale) o, ancora, quando lascia anzitempo – anche in questo caso con una gestione mediatica del caso non perfetta – il ritiro della Nazionale dopo la splendida prestazione di San Siro e la doppietta realizzata al Milan.
Il risultato è che Napoli non riesce a far percepire Insigne come un patrimonio nazionale. E se dieci anni fa il Totti martoriato dai difensori avversari divenne un tema centrale – peraltro con scarsi risultati pratici vista la frattura del perone conseguente a uno scontro di gioco col difensore dell’Empoli Vanigli proprio nell’anno del Mondiale – del ginocchio di Insigne non v’è traccia nel dibattito del giorno dopo.
Napoli, quindi tutti noi, dovrebbe interrogarsi su quest’aspetto. La tutela della città passa dalla tutela delle nostre risorse. Ed è diecimila volte più importante provare a far comprendere l’importanza di Insigne nel calcio italiano invece che stare a rispondere a una frase detta in tv nel corso di una trasmissione televisiva che ha il solo obiettivo di fare clamore sul nulla. Napoli dovrebbe imparare a difendersi in maniera più efficace.
È un processo che calcisticamente è in parte cominciato negli ultimi due anni, con un grande comunicatore che definiamo l’innominabile. Un processo che Maurizio Sarri sta portando avanti in modo intelligente. Sarri è migliorato tantissimo nella comunicazione. E lo ha fatto in poche settimane. Talvolta si attarda in polemiche che a me sembrano inutili, come quella sulla formula della Europa League, il più delle volte però risponde con piglio e autorevolezza a chi vuole inchiodare lui e il Napoli nel ruolo di piacevole sorpresa che però non deve scantonare dal suo ruolo.
Napoli ha ampiamente dimostrato sul campo di poter giocare alla pari con qualsiasi squadra. Ha fin qui disputato quindici partite ufficiali e soltanto il Sassuolo alla prima di campionato ci ha messi sotto sul piano del gioco. Oggi il Napoli è la squadra più forte dell’Europa League, quella che ha segnato di più, che ha subito di meno (appena un gol); tra campionato e Coppa ha realizzato 37 reti, con una media di più di due a partita e ha incassato appena nove gol, poco più di mezzo ogni match. Gioca il calcio più bello d’Italia e uno dei più belli d’Europa. Tutto questo, però, se si vuole vincere, non basta. Napoli deve crescere, noi dobbiamo crescere. Dobbiamo cominciare, anche fuori dal campo, a offrire l’immagine di un nucleo coeso, concentrato. Nella settimana che ha preceduto la trasferta di Genova, ci siamo distinti per il caso Insigne-Mertens, per le frasi di De Laurentiis (improvvisamente colto da un’irrefrenabile voglia di parlare) che avrebbe indotto Sarri a virare sul 4-3-3. Insomma abbiamo offerto un saggio di autolesionismo, materia in cui eccelliamo. E dopo lo zero a zero di Marassi c’è voluto che intervenisse il fiorentino Sconcerti a spiegarci che in un campionato, con buona pace di Paolo Sorrentino e del suo L’uomo in più, esistono anche i pareggi. Così come ieri sera è stato esposto uno striscione francamente surreale nei confronti di De Laurentiis.
Bisogna invertire questo trend. Proviamo a fare pace con noi stessi. Napoli deve cominciare a fare notizia per altro. A cominciare dal caso Insigne. E respingere tutto ciò che ci danneggia. Bisogna trovare i giusti anticorpi, altrimenti alle prime difficoltà rischiamo di finire travolti. È quel famoso spalla a spalla di cui ha a lungo parlato invano l’innominabile. Se vogliamo davvero vincere, dobbiamo smetterla di avere voglia di gettare tutto a mare alla prima contrarietà. Per vincere bisogna combattere, come fa il Napoli sul campo. Come ha fatto dopo il pareggio della Fiorentina con una reazione veemente che ha impedito alla squadra di Sousa di uscire dalla propria metà campo. Ecco, dovremmo comportarci tutti allo stesso modo. Concentrati con la testa all’obiettivo. E provare a remare tutti nella stessa direzione. A cominciare, ovviamente, da chi ha più responsabilità.
Massimiliano Gallo