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Il Sannio e un’alluvione di serie B oscurata dai media

Il Sannio e un’alluvione di serie B oscurata dai media

Riportiamo quanto scritto da Raffaelle Calandra, inviata di Radio 24, conduttrice del programma radiofonico “Storiacce”, che è stata in Sannio per raccontare l’alluvione. 

Sono ripartita quando il sole ormai era tornato a splendere nel Sannio. A far brillare le colline di oro e di fuoco, ma pure a mostrare, in modo ancor più spietato, i danni della doppia alluvione.

Per giorni ho guidato su strade diventate come ponti sospesi su campi allagati, vigneti abbattuti, ulivi sradicati. Camminavo ed incredula osservavo questi canyon aperti nei campi squarciati in profondità. I tappeti di pietre su cui resistevano alberi secolari. E poi le montagne di fango, piene di tutto. Di tutto ciò che la furia dei fiumi, all’improvviso troppo gonfi per restare nei loro argini, hanno portato con sé. E di tutto ciò che dalla montagna è caduto: massi soprattutto. E paura.  Ho guidato e camminato, con i piedi nel fango. E mentre guardavo, fotografavo, parlavo con la gente, per preparare Storiacce di sabato (21.30) e il reportage, facevo fatica- lo confesso – a riconoscere un paesaggio a me così familiare.

Mi è capitato tante volte, purtroppo, di essere inviata in una zona alluvionata. Ogni autunno, direi, almeno una volta. E avevo già provato questa sensazione di stravolgimento, davanti ad auto portate via,  a case stravolte, a piazze cancellate. Stavolta, la differenza per me era che quella era la mia terra.

Sono andata nei paesi investiti dalle frane, come Paupisi e ho toccato la disperazione di chi ha perso la casa e l’azienda, in una stessa notte. Li guardavo e leggevo perfettamente in certe facce tagliate dal vento, in quelle mani ruvide, in quegli occhi trasparenti la desolazione di vedere vanificati “i sacrifici di una vita”. Sapevo perfettamente cosa significasse. Sono vite di resistenza, questa, resistenza all’emigrazione, ai cattivi raccolti, alle difficoltà. Alla noia e all’abbandono. Vite vissute per lo più in silenzio, nelle seconde file rispetto a tutto. Concentrate sulla famiglia, sul lavoro, su sentimenti sinceri che non ammettono ipocrisie. Soprattutto in amore. E’ terra di fatica e risparmi, questa. Terra di gente, abituata a rimboccarsi le maniche, per cercare di avere dalla terra- niente affatto generosa- i frutti del proprio lavoro. E’ terra di gente riservata, orgogliosa, poco incline alla polemica e alla lamentela. Molto di più abituata al dolore silenzioso e al sudore, da cui ricavare margini spesso esigui di guadagni. Con cui costruire la casa, con cui far studiare i figli. Poi arrivano le pietre e il fango e tutto sparisce.

E’ stata una trasferta difficile, perché ho sentito più vivo che mai dentro di me il dolore di questa gente.  E ho capito anche quanto certe dinamiche mediatiche incidano pure sulle risposte ai disastri. Il Sannio, “ad alcuni abbiamo anche dovuto spiegare dov’è” ho letto in qualche commento. Terra lontana dai grandi circuiti, terra piuttosto di streghe e misteri. Raramente sulle prime pagine: qui non c’è la criminalità di Napoli, qui non c’è mai stata l’emergenza rifiuti. Qui non si consumano quei reati efferati, che fanno scoprire certe province. E allora anche tre morti in un’alluvione diventano “pochi” per commuovere il Paese intero, per mettere in movimento gli inviati delle grandi testate, per sensibilizzare e velocizzare anche i soccorsi. E’ triste ammetterlo, ma forse anche “nelle disgrazie esiste una serie B”, ammetteva il sindaco di Benevento, Fausto Pepe. La Protezione civile è arrivata, sì, ma solo dopo la seconda alluvione. All’inizio, i primi interventi sono stati gestiti solo da quella regionale e dai tantissimi volontari. Ma “gli uomini e i mezzi non bastavano” e infatti anche una settimana dopo molte località continuavano ad essere isolate. E molti anche della stessa protezione civile ammettevano di aver bisogno “di altri mezzi”. Benevento non è Monterosso, il Sannio non sono le Cinque Terre, conosciute in tutto il mondo. Non è Genova, che purtroppo si allaga ogni anno. I sanniti fecero subire al glorioso impero romano l’onta delle forche caudine, ma la storia in pochi la ricordano. 

Le devastazioni che ho visto lì, però, se possibile erano anche peggiori di quelle raccontate dalla Liguria, dalla Lunigiana, da Vicenza o dall’Emilia e dalle tante altre terre alluvionate che mi è toccato visitare. Sono state peggiori, perché hanno distrutto famiglie con poche risorse economiche, in un territorio con pochissime offerte. Dove ora molti temono ci possa essere lo stesso drammatico effetto del terremoto del 1980: emigrazione in massa. Al di là delle aziende distrutte, ci sono i tantissimi piccoli viticoltori, che ora non bisogna lasciare soli. “Siamo con la pancia a terra e con la faccia nel fango, se non arrivano aiuti subito, potete anche cancellarci”, mi ha detto il sindaco di Paupisi, Antonio Coletta. E nelle sue parole non c’era esagerazione. Anche se da questa terra fiera e dignitosa, non avete sentito isterie, polemiche o recriminazioni. Erano troppo impegnati tutti a spalare fango e a ricominciare. Aiutiamoli. Anche bevendo Falanghina del Sannio e Aglianico del Taburno. Che tra l’altro sono ottimi.
Raffaella Calandra   

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