Questa nuova vittoria così esaltante del Napoli a San Siro ha portato intorno a Maurizio Sarri un rigurgito di chiassosa attenzione. Ogni tanto il panorama del calcio italiano si mostra affamato di nuove figure di cui invaghirsi, meglio se all’apparenza alieni, diciamo degli anti-convenzionali, degli anti-sistema, che il sistema accoglie inizialmente come un’eccezione, declamandone la assoluta unicità e pretendendone a parole la conservazione, ma esigendone lentamente, nei fatti, la conversione e l’adeguamento alla norma. Sebbene a tanti piaccia paragonare la figura di Sarri a quella di Sacchi, il PRIMO GRADO DI SEPARAZIONE ci porta più verso un altro grande eretico del campionato italiano: Zdenek Zeman. Non sono pochi i punti di contatto, sia tecnici sia estetici. Per restare al campo, il Napoli di Sarri sta decollando con il sistema più zemaniano che esista, o forse dovremmo dire con il solo metodo che Zeman conosca, il 4-3-3. Non deve essere un caso se l’abbraccio a questo assetto di gioco sta scatenando Lorenzo Insigne, che con il 4-3-3 di Zeman aveva segnato tanto a Pescara. E poi c’è il fumo dentro il quale Sarri si avvolge, quella sigaretta che tiene fra le dita proprio come faceva e ancora fa Zeman.
Ma il fumo di Sarri ha una confezione differente. La sigaretta di Zeman entrava in campo come un elemento naturale. Il grande boemo arriva negli anni in cui è ancora fresco il ricordo di un altro fan accanito della nicotina, Bruno Pesaola. La sigaretta in panchina è la norma. La sigaretta di Sarri entra in campo invece come un’eresia. Rompe lo schema. Mi viene perfino il dubbio che sia fuori dal regolamento, se non addirittura fuori della legge italiana. La sigaretta di Sarri spiazza. Come spiazzava quella di (SECONDO GRADO DI SEPARAZIONE) Michel Platini, fumatore discreto ma costante. Nell’intervallo delle partite si concedeva qualche boccata. Una volta venne sorpreso da Gianni Agnelli in persona, che ne fu quasi scandalizzato. “Michel, che sta facendo? Lei è un atleta. Un atleta come lei può fumare nell’intervallo di una partita?” gli chiese il proprietario della Juventus. Il francese fu pronto nella risposta: ”Avvocato, l’importante è che non fumi Bonini, è lui che deve correre, non io. Io sono Platini“.
Una risposta che nasconde una certa concenzione della vita. Una filosofia, a suo modo, sebbene opposta a quella di un altro grande pensatore del calcio e altro enorme fumatore, (e siamo al TERZO GRADO DI SEPARAZIONE), il brasiliano Socrates. Non che Socrates corresse per gli altri. Non correva neanche per sé. Ma mai avrebbe detto che qualcuno fosse tenuto a farlo al posto suo. Quando ormai malato al fegato si vide offrire la possibilità di scavalcare altri pazienti nella lista d’attesa per il trapianto, Socrates rifiutò amabilmente. Se n’è andato prima che arrivasse il suo turno. Non c’erano prime donne nell’idea di calcio e di vita di Socrates. Si era laureato in medicina ma prima era il Dottore del centrocampo. A Firenze ancora ricordano, i vecchi compagni, delle corse che faceva di sera se una bambina o la moglie di uno di loro aveva una linea di febbre. Il calcio di Socrates si fondava sull’idea di democrazia, rivoluzionaria nel Brasile dell’inizio anni ’80: allo stesso modo di democrazia parlò Sarri nei primi giorni di ritiro, precisando che in una squadra tutti sono uguali e che non avrebbe avuto riguardi per nessuno, condendo il suo discorso con frasi che prendevano di mira i campioni, a suo dire poco inclini alla fatica, salvo poi nel tempo sfumare il concetto e raddrizzarlo: “I campioni veri non si sottraggono al sacrificio”.
Campione vero, di classe e sacrificio, e allo stesso tempo grande fumatore è stato anche (QUARTO GRADO DI SEPARAZIONE) Gigi Riva. I ritiri del suo Cagliari erano celebri per le stanze fuligginose a notte ormai avanzata. È celebre l’aneddoto: una volta l’allenatore Scopigno fa irruzione in una delle camere dei giocatori quando questi in teoria dovrebbero essere a letto e già da tanto, li scopre invece alle prese con una partita di poker e con molti pacchetti di sigarette sul tavolo, vuoti. I calciatori si aspettano la scenata, lui invece si siede e dice: “Vi spiace se fumo?”. Risatona generale e poi: “Però è l’ultima. Quando finisco, tutti a letto”. Quello fu il Cagliari dello scudetto, una delle dimostrazioni pratiche che essere sergenti non sempre serve. Ma per il calcio italiano, ancora bigotto, chi rinuncia al ritiro è un allenatore debole. Una sigaretta “mangia” 30 milligrammi di vitamina C al giorno dall’organismo. La letteratura medica garantisce che quando si smette di fumare, a distanza di soli tre mesi, la respirazione migliora del 10%.
Proprio come Sarri e Zeman, chi portava il fumo su un campo era (QUINTO GRADO DI SEPARAZIONE) Michael Jordan. Cominciò a innamorarsi del sigaro dopo la vittoria dell’anello Nba del 1991. Fumò il primo per festeggiare la vittoria, non ne avrebbe più saputo fare a meno. Un amico lo riforniva di speciali sigari imbevuti nel rhum. Si racconta che ne fumasse uno in macchina lungo il tragitto che faceva da casa, prima di ogni partita, verso il palazzo dello sport dei Bulls. “Perché lo fai?”, gli domandarono. “Perché c’è traffico”, rispose. Ci sono foto che lo ritraggono con il sigaro in bocca mentre gioca a golf e mentre gioca a baseball. Non si nascondeva. Si fece addirittura intervistare da una rivista specializzata del settore. Si sa che i suoi preferiti sono i Partagas.
Sono così tanti gli sportivi che cedono alla sigaretta che certe volte viene da invocare per loro l’intervento di Sylvester Stallone, o meglio di (SESTO GRADO DI SEPARAZIONE) Rocky Balboa. Non so se avete presente la scena in cui Rocky, non ancora campione, cammina per le strade del suo quartiere a Filadelfia, viene deriso da qualche sbarbatello, ma affronta una ragazzetta e le fa una parte per via del fumo. Non devi fumare, le dice, e niente parolacce. Lui stesso però fuma, anche se per girare il film e mettersi in forma Sylvester Stallone decise di smettere. Rocky fuma, e non è il solo tratto in comune con Sarri, giunto fino a lui passando attraverso Zeman, Platini, Socrates, Riva e Jordan. Rocky è probabilmente il personaggio cinematografico più famoso e più “alto” nel rappresentare la nuova occasione che la vita può offrire all’improvviso. E’ il simbolo della capacità di rinascere. Molto sense of life of America, si sarebbe detto, se non ci fosse adesso Sarri a mostrarci che certe volte la cosa può succedere pure da noi, in Italia, dove un buon conoscitore del suo lavoro viene per anni dimenticato negli scantinati, nel retrobottega della sua professione, e quando nulla pare che più possa accadergli si trova invece al centro di una chiassosa attenzione, celebrato come un maestro, invocato da una città come un nuovo profeta. Come andò a finire con Rocky lo sanno tutti. Perderà il titolo ai punti, ma la folla sarà dalla sua parte e lui amerà Adrianaaaa. Se state pensando a Sarri e questo finale non vi piace, potete sempre pensare che sul ring di Hollywood il film di Stallone vinse l’Oscar, portandolo via quell’anno a Taxi Driver di Scorsese.
Elena Amoruso