Al CorSera: «Non sono un presenzialista! Dal primo marzo al 30 aprile non sono entrato nemmeno nei primi dieci più presenti nel dibattito pubblico. In Italia ti perdonano tutto, ma non la popolarità»
Il Corriere della Sera intervista Roberto Burioni. Il virologo è uno di quelli che durante la pandemia sono stati più presenti in tv. L’Espresso nei giorni scorsi ha scritto delle sue consulenze d’oro.
Lui nega di essere così onnipresente: «Non sono un presenzialista!». E chiama a supporto della sua tesi il monitoraggio Agcom.
«Nel periodo più buio, dal primo marzo al 30 aprile, non sono entrato nemmeno nei primi dieci più presenti nel dibattito pubblico».
Nega di aver minimizzato il virus.
«Sin dall’8 gennaio ho cominciato a preoccuparmi per quelle “strane polmoniti” che si vedevano in Cina e ho preso a studiare le carte mediche. In Italia ti perdonano tutto, ma non la popolarità».
La popolarità, del resto, porta agli equivoci.
«Si viene travisati. Mi hanno attribuito di tutto. Ora che la situazione epidemiologica italiana sta migliorando, faccio un passo indietro».
Sulle consulenze citate dall’Espresso.
«Sulle consulenze dico una cosa semplice: chi dovrebbe aiutare la ripartenza di un Paese se non un esperto di queste questioni? Se la Ferrari mi chiede un aiuto, dovrei dire di no? Io ritengo che sia un dovere dare una mano. E un professionista va pagato, perché altrimenti si tratta di sfruttamento. Mi hanno accusato di speculare sulla pandemia persino quando è uscito il mio ultimo libro, Virus, anche se tutti sapevano che i proventi sarebbero andati alla ricerca».