Il filosofo francese intervistato da Repubblica: «Cretino chi pensa che ieri eravamo tutti cattivi e domani diventeremo tutti buoni. Mi sembra di vedere i film di propaganda sovietica. La Francia continua a voler decapitare i suoi re»
Su Repubblica una lunga intervista al filosofo, opinionista e giornalista francese Alain Finkielkraut. Non è così scontato che la pandemia renderà gli uomini migliori, come tutti vogliono farci credere, dice.
«Non voglio vivere nel mondo di cretini sorridenti che alcuni tentano di propinarci. Il mondo che ci aspetta non sarà né migliore né peggiore. È sbagliato ragionare in modo così schematico. Stiamo vivendo una tragedia, e in ogni tragedia c’è una parte di assurdità e contingenza. Molti pensano che questa crisi debba rimettere in discussione la nostra modernità perché l’uomo ha selvaggiamente sfruttato il Pianeta, distrutto habitat naturali, deforestato intere regioni. Il coronavirus sarebbe la vendetta della Natura. Nemesis, la potenza divina che punisce l’hybris. Non condivido quest’analisi. Preferisco restare modesto. Tanti cedono all’immodestia della colpevolezza».
Parla a lungo della Francia, Finkielkraut, del bisogno che hanno ancora, i francesi, di trovare un colpevole per tutto.
«È una triste eccezione francese. Boris Johnson gode ancora della fiducia dei britannici nonostante abbia ritardato il confinamento, si sia ammalato e abbia portato il Regno Unito a un alto numero di vittime. Se fosse successo qualcosa di simile in Francia, i cittadini avrebbero chiesto la testa di Macron. Siamo quel Paese che continua a voler decapitare i suoi re. È il lato oscuro della Rivoluzione accanto a quello luminoso della Dichiarazione dei diritti dell’Uomo».
Un’eccezione che prima o poi qualcuno dovrà studiare, dice.
«Un giorno bisognerà fare una genealogia del malcontento francese. I cittadini accusano il potere ma al tempo stesso non vedono quanto hanno beneficiato dello Stato Provvidenza. Oltre 12 milioni di francesi sono stati protetti da ammortizzatori sociali, molti di più che in Germania. Negli ospedali non è stata fatta nessuna selezione dei pazienti, tutti sono stati accolti. Eppure domina la collera».
E torna sul concetto dei cretini sorridenti espresso all’inizio dell’intervista. Spiega a chi si rierisce.
«Chi pensa che ieri eravamo tutti cattivi e domani, passata questa terribile prova, diventeremo tutti buoni. Mi sembra di vedere i film di propaganda sovietica. È quello che Milan Kundera definisce “kitsch” ne L’insostenibile leggerezza dell’essere».
Non usciremo diversi da questa crisi, secondo lui.
«La storia del Novecento mi ha insegnato a diffidare del sogno dell’Uomo Nuovo. E so, attraverso Auguste Comte, che la società è composta più di morti che di vivi. Si ragiona come se tutto il passato dovesse essere liquidato. Da tempo rivendico invece il diritto alla nostalgia. Del silenzio che era quasi scomparso dalle nostre vite frettolose e rumorose. Durante il confinamento il silenzio è tornato. Dovremmo imparare a dargli spazio. Come non lo so, organizziamo una festa del silenzio. In questo momento ho nostalgia dei café che sono una componente della civiltà europea. Non si può immaginare la Francia né l’Italia senza i café».
Sul distanziamento sociale:
«Più che distanziamento, preferisco parlare di distanza. Dovremmo riscoprire il senso delle distanze. Io non ho nessuna nostalgia per i bacetti che si davano i francesi a tutto spiano prima della crisi. Un po’ di distanza aiuta la civiltà. Non significa che bisogna cedere alla virtualizzazione del mondo e rinunciare all’incarnazione di un incontro fisico».