I due gol di Higuain, l’exploit finale di Reina con l’aiuto dei legni. Un girone fa, 19 partite. Il Napoli batteva l’Inter capolista al San Paolo, scalzandola dal primo posto e saltando in vetta al campionato, in solitaria, per la prima volta dal 1990. I rapporti di forza, allora, erano molto diversi: Inter protagonista di un avvio di stagione pieno di risultati positivi, roba da 30 punti in 13 partite, e Napoli di Sarri outsider dedita a inseguire e a coronare, proprio nella notte del San Paolo, la rimonta a Mancini e ai suoi predatori della vittoria di misura. Sì, perché la prima Inter edizione 2015/2016 è specializzata nel successo col minimo scarto: delle 12 vittorie conquistate nel girone d’andata, solo 2 sono state conquistate con più di un gol di vantaggio. Di queste 10 affermazioni col minimo scarto, 9 sono arrivate per 1-0. Alla 19esima, la sconfitta che non ti aspetti: Inter-Sassuolo 0-1, Napoli che scavalca di nuovo i nerazzurri al primo posto e si prende il titolo platonico di Campione d’Inverno con 41 punti contro i 39 della Mancini-band. Che da lì, scompare oquasi.
Nel girone di ritorno, l’Inter ha messo insieme 19 punti sui 39 disponibili. 10 in meno del Napoli, 11 rispetto alla Roma, potenziale concorrente per il terzo posto. E, soprattutto, 11 in meno rispetto allo stesso momento del girone d’andata. Chi parla di involuzione, commette un piccolo errore di concetto come lessicale: perché l’Inter in realtà non è questa, ok. Ma neanche una squadra in grado di insidiare da vicino le due corazzate Juventus e Napoli, né tantomeno di poter tenere il passo della “vera” Roma. Se il girone di ritorno di questa Inter è stata l’eccezione negativa, quello di andata è stata quella positiva. La verità sta nel mezzo, e racconta, molto probabilmente, di una squadra al quarto posto del campionato per valori assoluti. Esattamente la posizione ricoperta in classifica dai nerazzurri.
Le motivazioni tecniche e tattiche di questo calo, o meglio, di quella che noi definiamo come la rivelazione della verità su questa squadra, riguardano intanto la qualità dei giocatori. Nell’organico a disposizione di Mancini, i calciatori a livello dei primi posti in classifica neanche mancherebbero (Handanovic, Icardi, Jovetic, Perisic, Miranda e Murillo), ma sono accompagnati da calciatori che non possono garantire lo stesso livello di prestazioni. Soprattutto nel reparto chiave del centrocampo, l’Inter manca di calciatori completi: Melo e Medel non sono troppo bravi tecnicamente, Brozovic va a corrente alternata e il grande acquisto estivo Kondogbia non rende senza avere accanto un calciatore in grado di gestirne i movimenti e le grandi potenzialità fisiche. Manca un regista, per dirla in breve. Un creatore di gioco, un calciatore di qualità in grado di far muovere la squadra in maniera pure elementare ma geometrica e fluida. All’inizio, questo ruolo apparteneva al tanto inseguito Felipe Melo, che con la garra suppliva a un’evidente mancanza di qualità per interpretare il compito del metronomo. La stessa garra che aveva permesso all’Inter di vincere, pur non incantando, le prime cinque partite di campionato e di fare poi nove su tredici. Fino alla sfida di Napoli, forse una delle migliori prestazioni stagionali della squadra di Mancini. Che però, quella sera, ebbe la sfortuna di trovarsi di fronte Reina e Higuain.
I problemi di gioco accusati da Mancini nascono tutti da questa mancanza di qualità, a cui il tecnico nerazzurro ha cercato di porre rimedio cambiando più volte assetto e uomini. Per un certo periodo della stagione, la scelta era stata addirittura quella di rinunciare ad Icardi per privilegiare un attacco “zoppo” e veloce, con Ljaljc, Eder e Biabiany oppure con Jovetic prima punta. Poi si è tornati indietro, con centravanti argentino affiancato da due esterni o da una seconda punta più classica, Rodrigo Palacio. Il tutto, alternando anche gli uomini sui lati difensivi (D’Ambrosio, Santon, Jesus, Telles, Nagatomo) e a centrocampo. Insomma, zero certezze e poca identità di gioco. E necessità di adattarsi agli avversari piuttosto che costringerli a cercare di fermare i tuoi schemi.
L’Inter aveva preventivato questo come anno di crescita, ma l’inizio aveva fatto sperare che questa crescita potesse coincidere almeno con una rincorsa al terzo posto che vale un accesso Champions diventato determinante, anche per riconfermare l’acquisto dei big fatto la scorsa estate con i pagherò e i diritti di riscatto per giugno 2016. Per continuare almeno a provarci, Mancini riparte dal Napoli. Che è la squadra contro cui i nerazzurri si sono espressi meglio durante la stagione, a parte la splendida semifinale di ritorno in Coppitalia con la Juventus: la sconfitta quasi immeritata del San Paolo un girone di campionato fa, ma anche l’unica debacle interna degli uomini di Sarri, sempre in Coppa Italia. Allora, l’Inter riuscì a imbrigliare gli attacchi azzurri e fu fortunata a segnare con Jovetic un gol bellissimo e tagliagambe per i partenopei. Tanto che, al 90esimo, arrivò addirittura il raddoppio di di Ljaljc. Una vittoria sì fortunosa per quello che accadde in campo, ma alla fine meritata per l’interpretazione nerazzurra di un gioco di contenimento e rimessa che non permise al Napoli di esprimersi. Da quel match di gennaio i rapporti di forza si sono ancora dilatati, con Mancini che ora deve scegliere come affrontare un Napoli molto più forte della sua Inter. L’ultimo treno per dare un senso alla sua stagione, dal punto di vista del prestigio ma anche della classifica. Per il Napoli senza Higuain non sarà facile, soprattutto nella condizione di aut-aut in cui si trovano i nerazzurri. Che sono al quarto posto, meritatamente. Ma possono ancora, con l’ultimo colpo di reni, prendersi uno scalpo importante e restituire colore a un campionato che prometteva bene e non ha saputo mantenere.