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Marchisio: «Il calcio deve ripartire perché dà lavoro e da mangiare a tanti»

Intervista a Tuttosport: «Dietro i giocatori più visibili e pagati ci sono duecentomila persone che vivono di pallone. Se fossi un giocatore darei il mio ok per tornare a giocare senza grosse paure»

Marchisio: «Il calcio deve ripartire perché dà lavoro e da mangiare a tanti»

Tuttosport intervista Claudio Marchisio. Parla del calcio, della situazione di stop dovuta alla pandemia. E della necessità che il campionato riprenda.

«Se si parla di calcio bisognerebbe sapere che si tratta di una delle prime dieci industrie del Paese, con un indotto molto importante e un movimento di massa che coinvolge milioni di persone di qualsiasi età. Il calcio non è solo l’élite di giocatori milionari che finiscono sulle copertine e sono i re dei social network».

Ci sono i giocatori di Serie B e C, i giovani e poi chi ha mansioni meno visibili

«ma che grazie ai calciatori e al movimento che creano, può portare a casa uno stipendio per mantenere la propria famiglia. Mi riferisco ai magazzinieri, ai fisioterapisti, agli addetti alla sicurezza, a tutti i giornalisti e operatori dei media che portano il calcio nelle case degli appassionati, al personale che permette alle società, grandi e piccole, di funzionare, finanche agli steward che spesso sono universitari che con quei pochi soldi riescono però a coprire qualche spesa o padri e madri di famiglia che così riescono a far quadrare i conti a fine mese. Il calcio è una macchina enorme, trainata dai giocatori più visibili e pagati, ma dentro la quale ci sono duecentomila persone che vivono di pallone».

Marchisio dichiara che dietro al suo percorso come calciatore ci sono

«centinaia di persone, che nessuno vede o conosce, ma permettono il funzionamento di un sistema che produce quasi 4 miliardi di euro di ricchezza, più altri 8 di indotto e che paga all’erario 1,2 miliardi di tasse all’anno».

Lui si augura che si torni a giocare.

«Leggo che il problema sarebbe il rischio di contagio e non vorrei che si aspettasse il rischio di contagio zero. Perché il rischio zero in uno sport di contatto non può esistere».

Spiega i motivi per cui il calcio deve riprendere.

«Il calcio non deve riprendere per assegnare lo scudetto e decidere promozioni e retrocessioni ma perché chiudere questa stagione significa porre le basi per la prossima. Anche perché, parliamoci chiaro, non ci sarà differenza tra maggio e settembre. Anzi, se si dà ascolto a certi scienziati, l’estate potrebbe essere una stagione che aiuta a limitare moltissimo i contagi, ma dall’autunno potrebbe esserci un ritorno di livelli più alti. Insomma, il finale di questa stagione porrebbe dei problemi che si potrebbero risolvere in vista dell’inizio della prossima. Altrimenti non si riparte mai e alla fine ci rimettono le persone di cui parlavamo prima»

Se il calcio dovesse fermarsi, ci sarebbe da rispettare la decisione,

«ma allora lo Stato dovrebbe prendersi delle responsabilità perché in questo momento servono decisioni concrete per mandare avanti l’economia del Paese, economia di cui il calcio fa parte insieme ad altre tante aziende e settori fermi in questo momento »

Parla anche mettendosi dalla parte dei calciatori

«Ho vissuto la prima parte della quarantena in modo molto ansioso, con le cifre delle persone in terapia intensiva e il numero angosciante dei morti che cresceva. Ora cerco di avere una visione, sempre molto rispettosa nei confronti di chi soffre, la situazione negli ospedali è migliorata e le persone sanno comportarsi meglio. Se fossi un giocatore quindi darei il mio ok per tornare a giocare senza grosse paure. Ma parlo per me, perché potrei capire se qualcuno non si sentisse al sicuro per tornare a giocare. So che qualche giocatore non se la sente, nel mio piccolo ho avuto dipendenti che non avevano voglia di ritornare al lavoro, massimo rispetto di quello che si prova, io personalmente giocherei».

Marchisio racconta di aver sentito Rugani e Dybala, entrambi passati per il virus. Racconta le loro paure.

«da quello che mi hanno raccontato hanno avuto paura ma non problemi gravi, certo hai l’ansia di avere una malattia per la quale muoiono migliaia di persone e lo senti dire ogni  sera, ma non avevano sintomi problematici, il peso psicologico incide»

Sui calciatori andati all’estero.

«mi ha fatto rabbia sentire che erano scappati. Ma secondo voi se mi fosse capitata una cosa simile quando ero in Russia, sarei rimasto lì a fare la quarantena o sarei tornato a Torino dalla mia famiglia? Dai, siamo seri».

E ancora sul calcio.

«E’ il caso che riapra insieme a tutte le attività, anche per non creare malcontento a chi rischia di rimanere chiuso, anzi, va riaperto per chi ne trae beneficio. L’indotto. Chiedete ai tassisti e albergatori e ristoratori di Torino. Chiedetegli se, al di là del loro tifo, speriamo che la Juventus passi il turno in Champions ogni volta che gioca. Il calcio non deve partire perché le big devono pagare gli stipendi ai giocatori come sento dire, ma perché già dà lavoro e da mangiare a tanti, anche in modo indiretto».

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