Il direttore del Mario Negri al CorSera. «Serve un piano medico. I numeri del governo prevedono che tutto, ma proprio tutto, andrà male.
Il Corriere della Sera intervista Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologich «Mario Negri». E’ favorevole alla riapertura dell’Italia per evitare conflitti sociali ma esprime disaccordo con il documento segreto dell’Istituto Superiore di Sanità su cui si è basato il Governo per programmare la Fase 2.
«Questo dossier prende in considerazione 92 scenari possibili. Ma tra 92 e zero, è uguale. Significa non avere idea di quello che succederà. Che è la pura verità, e andrebbe detta. Non lo sa nessuno».
Il rischio di ritrovarsi con le terapie intensive piene è da contemplare solo se tutto andrà male. Ma i 151.000 ricoveri stimati sono troppi.
«Se prevedi che tutto, ma proprio tutto vada male, si avrà un numero importante. Ma non quello, al quale si arriva solo sovrastimando in modo abnorme la popolazione anziana in Italia. Lo scenario peggiore non è impossibile, ma anche a livello statistico è molto improbabile».
La comunicazione del governo ha dato l’impressione di una “eterogenesi dei fini”.
«Le priorità non dovevano essere il calcio, gli orari dei parrucchieri e la definizione di congiunto».
Agli italiani bisogna dire la verità.
«Gli italiani devono avere ben chiaro che riaprire significa avere quasi automaticamente un certo numero di nuovi malati. E non stiamo parlando di poche decine».
Una ricaduta a giugno non è da escludere, ma bisogna gestirla isolando subito i contagiati. E a tal proposito Remuzzi dice:
«C’è un punto che non riesco a trovare nel decreto governativo. Una proposta per l’organizzazione delle strutture sanitarie e il contenimento del contagio. Prima degli orari dei negozi e delle corsette, serve un piano medico».
La sua proposta è di porre i medici di base alle dipendenze del Servizio sanitario nazionale fino al 2022.
«Loro sono il primo baluardo contro il virus. Hanno la convenzione con il Ssn, ma non ne dipendono. Invece, bisogna mobilitarli, creando un protocollo, dotandoli di sistemi di protezione individuale, per fare in modo che la maggior parte dei pazienti Covid19 possa essere curata a casa. Servono unità mobili, con ossigeno e diagnostica, come quelle fatte a Parma e in altre realtà anche del sud. Sulla sanità decide la regione, ma il governo deve dare la linea».
Gli ospedali non possono occuparsi del territorio. Devono fare gli ospedali. E non si devono commettere gli errori in cui si è già incappati.
«I pazienti Covid-19 devono stare in ospedali solo per loro. Non bisogna rifare l’errore di mescolarli con malati di patologie diverse».
Dalla Fase 1 dobbiamo ricavare degli insegnamenti.
«Questa malattia va curata casa per casa, con gli ospedali come ultima istanza. Serve un piano per fare il tampone agli infetti, e degli spazi per isolarli. Di questo si dovrebbe parlare. Poi viene il resto».
E non si deve più sbagliare con gli anziani.
«Non ci siamo occupati dei nostri anziani. La prima volta magari è comprensibile, tutto il mondo ha fatto gli stessi sbagli. La seconda, sarebbe imperdonabile. Occorre preparare le Rsa per un eventuale ritorno della pandemia. Al momento non ho visto nulla di questo nei decreti».
Il governo deve poi regolare la materia dei test rapidi.
«Non c’è una parola chiara sui test di screening rapidi, che servono per sapere se hai avuto la malattia e sviluppato anticorpi. Il governo deve regolare questo tema. Senza lasciarlo all’iniziativa delle regioni o dei singoli imprenditori. Altrimenti è il caos».
Sulle scuole:
«I bambini non si infettano. I loro genitori, più o meno giovani, difficilmente sviluppano malattie importanti. Invece noi lasciamo le nuove generazioni a casa dai nonni. Un altro modo di mescolare. A mio avviso, un grave errore».