In un lunghissimo articolo The Athletic dà voce ai protagonisti silenziosi (giocatori, dirigenti,. medici): «il calcio è gestito da dinosauri che pensano solo ai soldi»
Giocatori, allenatori, staff medici. C’è tutto un mondo dietro le dichiarazioni ufficiali, nel limbo del calcio che non sa se chiudere o riaprire. Un bosco di preoccupazioni non espresse formalmente, parecchi “si dice”, in generale un sostrato di malumore diffuso. I protagonisti del dibattito restano dietro le quinte, mentre la politica sceglie e imbastisce polemiche a oltranza (almeno in Italia va così).
The Athletic ha parlato con decine di giocatori, dirigenti, medici, anche di alto livello della Premier League, per lo più anonimi, che confermano: hanno paura. Soprattutto non accettano la possibilità di rimanere in quarantena, lontani dalla famiglia, per diversi mesi, in particolare nel caso di giocatori le cui mogli sono incinte o che hanno parenti anziani e vulnerabili che richiedono il loro aiuto. E hanno confidato al giornale online il timori che “uomini in giacca e cravatta con molti soldi” possano prendere decisioni che mettono “la salute economica” prima della “salute mentale e fisica dei giocatori e di chi scende in campo”.
Almeno due club della Premier League hanno comunicato ai giocatori che dovranno tornare ad allenarsi entro il 18 maggio, per poi riprendere a giocare il 4 giugno e concludere la stagione il 2 agosto.
Jobi McAnuff ha 38 anni e gioca in Seconda Divisione al Leyton Orient, ma nella sua carriera ventennale ha giocato in tutte e quattro le categorie del calcio inglese. Ha, quindi, un prospettiva unica sul contesto: “Trovo davvero difficile pensare che il calcio tornerà tra poche settimane. Trovo incomprensibile che al momento possiamo persino parlarne. A volte le persone dimenticano che i calciatori sono persone normali. Abbiamo tutti una famiglia, alcuni di noi hanno persone vulnerabili di cui farsi carico. Io porto pacchi di cibo ai miei genitori. Abbiamo delle mogli e alcuni hanno figli molto piccoli”.
Per McAnuff molti sottovalutano l’aspetto mentale: i giocatori non si sentono a proprio agio, e non si può giocare a calcio quando ti preoccupi di altri problemi più gravi”.
L’amministratore delegato della Premier League, Richard Masters, ha scritto un’e-mail ai 20 club dicendo che il governo è pronto a riportare il calcio in campo e che tutto sarà discusso nella riunione di domani. Per i club è arrivato il momento del dentro o fuori.
Il direttore di un club ha detto a The Athletic: “C’è una spinta folle per tornare in campo. Ma abbiamo ricevuto e-mail dai tifosi, nelle quali dicono che è “una vergogna”.
“Il processo di test sarà molto complesso e i medici della Premier League attualmente si aspettano che lo screening comprenda il test dell’antigene che dimostra se una persona ha o meno la malattia, piuttosto che dimostrare l’immunità. Tuttavia, è ulteriormente complicato in quanto vi sono stati casi in cui le persone restano asintomatiche per diversi giorni e quindi chiunque in contatto con i giocatori dovrebbe essere testato due volte a settimana, mentre i risultati dei test non sono immediati”.
Un’idea è quella di creare centri di allenamento e hotel in quarantena, che mantengano i giocatori isolati, lontano dalle loro famiglie. Ma i giocatori sono contrari. Un calciatore della Premier dice a The Athletic che non accetterà di restare in quarantena, perché sua moglie ha bisogno del suo aiuto con i loro quattro figli, in particolare in un momento in cui i nonni o l’aiuto esterno non sono ammessi a causa del distanziamento sociale.
Ma un altro giocatore, tuttavia, dice che sarebbe preoccupato di allenarsi ogni giorno e poi tornare a casa, dove vive con i suoi suoceri, che sono in una categoria a rischio. Il giocatore della Premier ha spiegato di conoscere il personale che lavora 24 ore su 24 per salvare vite umane negli ospedali, e ha concluso: “Se la situazione è così estrema che devi bloccare i giocatori, sicuramente dobbiamo chiederci perché mai stiamo giocando a calcio!”.
I club, silenziosamente, registrano il malcontento. Una fonte molto in alto di un club importante aggiunge: “Abbiamo un giocatore la cui moglie è nella lista delle persone che non possono entrare in contatto con gli altri. Ha ricevuto una lettera nella prima settimana che le diceva che doveva restare in isolamento. È madre di due bambini. Cosa fai? C’è l’aspetto umano da considerare. Potresti obiettare: “Sei pagato tantissimo per andare avanti”. Ma i soldi valgono più della vita?”.
Mentre la Premier League ufficialmente insiste sul fatto che deciderà solo in base alle linee guida del governo, molte persone che lavorano all’interno dei club temono che le decisioni chiave verranno invece prese da persone con poca esperienza in pandemie o gestione del rischio. Un membro dello staff di un club inglese dice: “Ci costringeranno a tornare in campo. E se i giocatori non volessero? E se vivono con persone vulnerabili? Tanti club sono gestiti da dinosauri. Hai problemi di sicurezza gestiti da persone senza esperienza in problemi di questo tipo. Un allenatore deve gestire 25 giocatori, non preoccuparsi di queste cose. La Premier League è troppo debole per prendere queste decisioni, ed è composta da 20 dirigenti che non possono ignorare il fatto che i soldi sono necessari. È spaventoso”.
La questione è se il calcio debba mettersi davanti ad altre parti della società. Le ambulanze, ad esempio, sono necessarie durante le partite di calcio. Le togliamo alla popolazione per una partita di calcio? “Temo che se torniamo troppo presto, le ripercussioni potrebbero essere fatali. Se un giocatore prende il virus da un compagno di squadra che è asintomatico durante l’allenamento e poi quel giocatore lo porta a casa dalla sua famiglia e si ammalano gravemente, ci sarebbero gravi conseguenze”.