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Lopetegui: «Questa tragedia ci ha insegnato che non sono i calciatori gli eroi della società»

Il tecnico del Siviglia a Marca: «Anche i calciatori si preoccupano della mancanza di test. Avremo bisogno di almeno 5 settimane per la preparazione» 

Lopetegui: «Questa tragedia ci ha insegnato che non sono i calciatori gli eroi della società»

Su Marca un’intervista al tecnico del Siviglia, Julen Lopetegui. Parla del dibattito che si è aperto in Spagna sui test che LaLiga intendeva condurre sui calciatori.

«Comprendo le obiezioni della società riguardo alla mancanza di test, anche se dovrebbero sapere che il giocatore non sceglie, andrà a fare un test perché gli dicono di farlo. E ho capito che le priorità della società sia che devono essere sottoposti a test prima coloro che rischiano la vita, questo lo comprende qualsiasi spagnolo. Ma i calciatori non sono estranei a questa preoccupazione sociale. Per quanto riguarda la fretta di alcuni dirigenti, ho già detto quali penso che siano le priorità. Dal mio punto di vista, è innanzitutto la salute, e credo che sarà così».

Lopetegui parla della quarantena, dice che la sta vivendo con la preoccupazione che accomuna tutti. E’ in contatto con i calciatori – anche in forma privata – e guarda molto calcio e usa la cyclette per mantenersi in forma. Ha voglia di tornare in campo, come i suoi giocatori.

«Tutti i giocatori sono ansiosi di tornare. Non vediamo l’ora di giocare di nuovo, ma la preoccupazione riguarda il come torneremo a giocare. Dobbiamo fidarci delle buone pratiche degli impianti sportivi e del Ministero della Salute, il principale responsabile, che è quello che deve garantire la salute di tutti gli attori. E poi, a parte questo, mi preoccupa il tempo di preparazione. Penso che avremo bisogno di almeno cinque settimane per poter giocare ogni tre giorni in uno scenario emotivo difficile da immaginare e che nessuno ha mai vissuto, non solo per giocare a porte chiuse. Quindi avremo bisogno delle migliori condizioni».

Sarà un momento delicato, ci sarà bisogno di riadattarsi e l’aspetto emotivo non è da sottovalutare.

«Sarà uno scenario eccezionale, ci saranno situazioni molto eterogenee e uno scenario emotivo piuttosto complesso. La gente pensa che tutti i calciatori abbiano grandi ville e proprietà ma quelli sono una minoranza. Ci sono stati positivi in molte squadre, il virus non è estraneo a nessuna professione, neanche a quella del calciatore».

Sul calcio a porte chiuse.

«Il calcio senza pubblico è un altro scenario che non conosciamo e a cui ci dovremo adattare al momento opportuno. Il calcio ha senso per i tifosi sugli spalti. Sarà necessario adattarsi a una realtà che nessuno vuole».

La priorità, adesso, è la salute fisica e mentale dei suoi calciatori, dice.

«Che i positivi non contagino e quelli che non hanno l’infezione non vengano contagiati. Devi fidarti della scienza».

Se il campionato sarà interrotto, spiega, vorrà dire che non ci sono altre possibilità.

«ma mi sembra anche lecito che tutte le possibilità siano esplorate in anticipo perché ci sono molti interessi in gioco, anche se in modo strano. Ciò che verrà da ora in poi nessuno può immaginarlo. Lo affronteremo e le autorità saranno sempre governate dal principale obiettivo della salute di tutti».

Lopetegui cerca di trovare qualcosa di positivo dalla tragedia che ha colpito il mondo intero.

«Abbiamo scoperto che i giocatori di calcio non sono gli eroi di questa società. Lo sono quelli che rischiano la vita ogni giorno, come medici, infermieri, vigili del fuoco, la polizia, i farmacisti. Persone che ci hanno permesso di continuare a vivere quasi come se nulla fosse successo. Questo è un insegnamento. La scala dei valori della società deve essere adattata, la priorità delle questioni sociali deve essere diversa. Si spera che troveremo una società migliore, più premurosa, sensibile, in grado di apprezzare di più le cose che abbiamo, il fatto che possiamo abbracciarci, riunirci con gli amici e la famiglia come al solito, quello arriverà. E speriamo che quando ci arriveremo non dimenticheremo, perché la razza umana tende a dimenticare rapidamente. Ecco perché vorrei avere un ricordo per quella generazione che ci ha lasciato nel modo più crudele, persone che hanno portato avanti un paese dopo la guerra civile, a mio avviso la migliore generazione che questo paese ha avuto. Se ne sono andati senza riconoscimento, se lo meritano».

 

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