Intervista al Giornale: «Siamo ancora sopra i 2mila nuovi casi in 24 ore. Proprio come quando fu deciso il lockdown. Aprirei soltanto 2-3 regioni con diffusione bassa del virus»
«Una follia riaprire tutte le regioni insieme».
La pensa così Andrea Crisanti, ordinario all’università di Padova e direttore del laboratorio di Microbiologia del Policlinico. Consigliere del governatore del Veneto, Luca Zaia, è stato tra i primi a comprendere il pericolo rappresentato dal virus e a non ridurlo ad una semplice influenza. Oggi è ancora più preoccupato per la Fase 2. È intervista da Il Giornale
«L’8 marzo, quando è stato deciso il lockdown, avevamo registrato 1.797 contagi in più in un giorno. Ora siamo ancora sopra i 2mila nuovi casi in 24 ore. Non capisco che cosa ci sia di diverso oggi rispetto al giorno in cui abbiamo deciso di chiudere tutto».
Riaprendo l’Italia il rischio è altissimo.
«Non ci sono dubbi: con la riapertura il rischio è elevatissimo. Gli italiani hanno fatto enormi sacrifici che al momento hanno evitato che ci fossero ancora più vittime ma se si riprende così, nel disordine quei sacrifici saranno vanificati e dovremo ricominciare da capo».
Fosse per lui, scaglionerebbe le aperture per regioni.
«Si potrebbe riaprire già domani ma in modo ragionato ovvero non tutti insieme e soprattutto non nelle regioni dove i contagi sono ancora moltissimi e la percentuale di crescita è sostenuta. Io aprirei soltanto in 2 al massimo 3 regioni con diffusione bassa del virus. Per esempio in Sardegna che è isolata poi in un’altra regione al sud sempre con un numero basso di contagiati. Poi necessariamente in una regione del Nord per studiare che cosa succede anche nel caso di un’area ad alta industrializzazione. Io sceglierei il Veneto perché ha queste caratteristiche e qui il contenimento del virus ha funzionato meglio rispetto alla Lombardia o al Piemonte. Si riapra a scaglioni e per una settimana studiamo che cosa succede nelle aree prescelte. Se dovessero esplodere nuovi focolai, saremmo in grado di circoscriverli concentrando lì tutta la potenza per l’identificazione, l’isolamento e il tracciamento dei positivi e dei loro contatti. Tutto quello che abbiamo imparato in queste settimane. E avremmo un modello per capire meglio il comportamento del virus».
In ogni regione c’è un tessuto economico e sociale estremamente diverso. L’impatto dell’apertura non sarà lo stesso ovunque. Riaprire così, dice, “non ha senso”.
«Non c’è un razionale scientifico alla base di questa scelta, si va avanti a tentativi in modo dilettantesco».
Sui test sierologici per rilevare gli anticorpi la pensa come l’Oms.
«Non servono a nulla. Come ha ribadito anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità, non esiste la possibilità di assegnare patenti di immunità. Non sappiamo se sia possibile ammalarsi di nuovo, non sappiamo per quanto tempo un positivo resta contagioso. I test sierologici hanno un valore statistico ma anche in Fase 2 servono i tamponi. È vero che fotografano soltanto la situazione esistente al momento ma sono utilissimi ai fini dell’isolamento dei positivi non appena vengono individuati».
Su protezioni e distanziamento:
«In quanti sanno come usare questi dispositivi? Anche il rispetto del distanziamento sarà problematico. Meglio avere più cautela adesso per evitare ricadute. Per le cure mi sembrano promettenti i trattamenti con il plasma dei guariti che stiamo cominciando ad usare anche qui».