Il sindaco di Bergamo intervistato da Tpi: “Quando tutto sarà finito dovremo trovare un modo degno, e simbolicamente importante, per onorare tutti quelli che sono caduti. Un grande omaggio”
Il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, non ne ha mai fatto mistero. Per lui i dati ufficiali sulle vittime del suo territorio non sono veritieri. Lo ribadisce in una lunga intervista a Tpi.
“Il numero reale delle vittime è di oltre due volte e mezzo quello certificato ufficialmente”.
E’ proprio la modalità di stima dei contagiati ad essere sbagliata, spiega.
“I dati sui contagiati che vengono diffusi quotidianamente dalla Regione e dalla Protezione Civile riguardano solo coloro che sono risultati positivi al tampone. E i tamponi in Lombardia si fanno solo a chi si presenta in ospedale con sintomi molto seri. Quella è solo la punta dell’iceberg. Ci sono decine di migliaia di persone positive, solo nella mia provincia, che non entrano nelle statistiche solo perché non viene fatto loro il tampone. Parlo di persone sintomatiche, poi ci sono gli asintomatici”.
“È la dimensione reale di questa tragedia. Centinaia di persone morte nelle loro case, o nelle RSA, senza che sia stato possibile anche solo diagnosticare loro la malattia”.
Non esiste famiglia, nel bergamasco, dice, che non sia stata toccata, anche indirettamente dal virus. Si doveva fare sin dall’inizio uno screening agli operatori sanitari, poi ai sintomatici e ai loro familiari.
“Mentre è tardi, secondo me, per usare i tamponi come strumento di mappatura, siamo purtroppo troppo avanti nella diffusione dell’epidemia”.
81 sindaci hanno chiesto alla Regione Lombardia di fare più tamponi. Ma il presidente Fontana ha risposto che la circolare del Ministero della Salute, risalente a febbraio, dice altro. Ma la circolare, spiega Gori, in realtà dice altro.
“Dice di fare i tamponi ai soggetti sintomatici. Che è quello che chiediamo noi. Nessuno ha mai proposto di fare tampone di massa. E in ogni caso di circolare ministeriale ce n’è un’altra, del 20 marzo, ancora più chiara nel dire che “è necessario identificare tutti gli individui che sono stati o possono essere stati a contatto con un caso confermato o probabile di Covid-19””.
E continua.
“Leggo che il presidente Fontana ha annunciato che la Regione farà tamponi anche ai monosintomatici. Non capisco bene cosa voglia dire, posto che fino ad oggi non si facevano neppure ai plurisintomatici, né quanti si pensa di farne”.
E’ necessario intercettare i malati prima che diventino troppo gravi e abbiano bisogno delle terapie intensive. Perché, spiega, a Bergamo posto non ce n’è più e tutti questi malati, chiusi nelle case, rischiano di contagiare i loro familiari.
“Dobbiamo arrivare prima. L’ordine dei medici stima che nelle case e nelle RSA della provincia ci siano quattromila casi di polmonite in corso”.
Per Gori, dove l’epidemia è così avanti, come a Bergamo, occorrerebbe concentrarsi su test diversi.
“Quello che misurando il livello degli anticorpi può individuare chi è stato contagiato , anche in modo asintomatico, è soprattutto può certificare chi si è “negativizzato”.
Un metodo utilizzato in Corea, quello dei test ematici.
“La misurazione degli anticorpi consentirebbe di avere traccia del contagio pregresso, a cui è seguita una risposta immunitaria, ma anche ad avere la certezza che non sono più contagioso. E sarebbe importantissimo poterlo certificare. Io ho chiuso in casa i miei genitori da un mese e ho paura di andarli a trovare perché non so se potrei contagiarli”.
Si sono commessi errori, finora. Da quelli si deve imparare.
“Bisogna proteggere adeguatamente i medici. Vedendo quanti se ne sono ammalati credo che non sia stato fatto alla perfezione. Se non si fa i medici e i sanitari diventano i primi veicoli di contagio”.
E poi non aver fatto la zona rossa in Val Seriana ha peggiorato le cose
“Io mi ricordo bene quei giorni tra il 2 e l’8, anche se sembra un secolo fa. Pensavamo tutti che la decisione fosse imminente, venne addirittura l’esercito a fare sopralluoghi. E poi non si è fatta. L’8 marzo è nata la zona arancione, estesa a tutta la Lombardia e ad altre 14 province. Una zona arancione non è una zona rossa. Quest’ultima avrebbe dovuto comprendere solo i comuni di Alzano Lombardo e Nembro, dove si era sviluppato un focolaio. Ma una settimana in questa guerra che stiamo affrontando può valere moltissimo”.
Non si è fatta anche per la preoccupazione di chiudere le attività economiche.
“Quella è una zona in cui ci sono centinaia di imprese”.
Ci sarà un momento in cui l’emergenza sanitaria finirà, e anche tutto questo dolore. Gori ci pensa.
“Una parte dovremo dedicarla a chi ci ha lasciato. A Bergamo abbiamo cercato di fare il possibile, ma so che è troppo poco. Dovremo trovare un modo degno, e simbolicamente importante, per onorare tutti quelli che sono caduti. Un grande omaggio”.