Ovviamente non ho alcun titolo per arrogarmi il diritto di parlare in rappresentanza della Rai, né tantomeno per tentare un’inutile difesa di qualcosa che spesso, convengo, appare indifendibile. Come si è ben compreso, la regia marcia parallelamente alla parte giornalistica senza reciproche interferenze, ma in un rapporto di collaborazione, anche se faccio notare che ci si esalta (parola grossa) o ci si arrabbia per il commento, ma è molto importante cosa si fa vedere e come. Ricordo che senza audio la partita si può comunque apprezzare, ma senza immagini, o senza immagini adeguate, anche il commento migliore si trasforma in radiocronaca.
Chi vede la TV non è naturalmente tenuto a sapere esattamente chi fa cosa, ma ha il diritto di esprimere critiche o apprezzamenti, così come anche a ricevere informazioni esatte.
La regia sportiva è un campo vasto perché comprende tutte le discipline, ognuna delle quali ha la propria peculiarità e quindi un suo sistema di ripresa. Per limitarci al calcio, tutto è cambiato da una ventina d’anni. Per capirci, quando ho cominciato questo mestiere, anno 1986, e per molti anni ancora, la Rai riprendeva tutte le partite di serie A con 2 telecamere, tranne quella principale trasmessa alle ore 19 (un solo tempo), e una di riserva con 3 o 4 camere (in occasioni particolari). E d’altronde la finale di Madrid 1982 fu ripresa con non più di 5 telecamere. Poi tutto è cambiato.
Senza addentrarmi troppo in tecnicismi, dirò che la regia del calcio è, allo stesso tempo, una delle più facili e una delle più difficili. Facile perché, tra tutti gli sport di squadra, è probabilmente quello che ha il maggior numero di pause, che danno quindi la possibilità di dare replay o anche mostrare primi piani con la ragionevole probabilità di non sovrapporsi al gioco live. Difficile perché il numero delle telecamere, e anche quello dei possibili replay, è aumentato a dismisura. La ripresa equilibrata di un evento calcistico coperto da più di 10 telecamere (si arriva a numeri anche molto elevati) prevederebbe comunque che la partita, intendo il gioco in corso, fosse servito da non più di 3, massimo quattro di esse, lasciando tutte le altre ai momenti di pausa, ai replay, etc. La regola prevede di non interferire con le immagini in diretta, e di dare a chi sta a casa sempre il massimo possibile di informazioni. Allo stadio il pubblico ha tutto l’assieme del campo e vede in ogni momento chi partecipa all’azione, ma ovviamente non ha i dettagli e le ripetizioni. L’obiettivo della regia dovrebbe essere quello di avvicinarsi al vantaggio di chi assiste dal vivo, ma con l’opportunità di godere di tutti gli arricchimenti che solo la TV può dare e che spesso sono interessanti e suggestivi, se utilizzati con giudizio. Per farmi meglio comprendere, faccio un esempio: si immagini un giocatore che corra lungo la linea laterale col pallone, con il probabile obiettivo di servire un compagno al centro. Allo stadio si vede sia l’uno che l’altro, in Tv troppo spesso (e qualcuno se ne vanta pure) si stacca sulla camera che segue da vicino la linea laterale, nascondendo così un’informazione importante, c’è o sta arrivando qualcuno al centro? Può passare la palla, e a chi? È’ ridondante mostrare la stessa azione in replay un numero imprecisato di volte, oltretutto sul gioco in movimento, a meno che non si tratti di una giocata eccezionale, che però si ha sempre il tempo di riproporre. I primi piani fanno parte del racconto e vanno mostrati, ma nei momenti opportuni.
Ciò detto, è bene che si descriva sommariamente il contesto, in modo da avvicinarsi a comprendere il motivo di certe scelte. Le partite della serie A, come quelle della Coppa Italia, vengono prodotte dalla società che ne possiede i diritti, che cura la cosiddetta “regia internazionale” (termine col quale si intende la ripresa neutra della partita vera e propria); per la serie A, sia Sky che Mediaset curano un’integrazione, cioè aggiungono alcune telecamere proprie (per esempio quelle negli spogliatoi), e la stessa cosa per la Rai in Coppa. I registi sono quasi tutti free lance, cioè lavorano (e ne vivono) a prestazione, tranne pochissimi, dipendenti contrattualizzati di Sky o Mediaset. Le pressioni che essi ricevono non sono poche (la Lega calcio, la Tim, le emittenti, gli sponsor, etc), chi pretende questo, chi pretende quello, chi non vuole vedere quello striscione, chi teme di inimicarsi qualcuno con una certa inquadratura, e via così, sempre con la spada di Damocle di una contestazione che avrebbe ricadute sulla possibilità di essere designati per le partite successive e di fatto di poter lavorare. Insomma una giungla. E come in ogni giungla c’è anche la competizione personale tra gli individui. Ho 15 telecamere? Devo far vedere che le ho, e allora stacchi su stacchi, replay su replay, e se il tempo morto non basta, anche sul live. Una specie di gara a chi ha la maggiore potenza di fuoco. So che negli ultimi tempi è in atto una competizione a chi mette in onda più velocemente il primo piano di colui che ha tirato (ed ecco spiegato il primo piano di Hamsik), o il replay, al di là del fatto che sia quello più adeguato a mostrare chiaramente quanto avvenuto, la fretta, si sa, è nemica del giusto. È come se si fosse sviluppata una sorta di bulimia di immagini, perché non si perda nulla di ciò che si ha a disposizione, neanche, aggiungo, ciò che è obiettivamente insignificante. Per come la vedo io, che certo ho la sicurezza di un contratto per cui sono più refrattario ai condizionamenti e alle competizioni, un vero inferno. E per questo motivo, sperando di aver chiarito le difficoltà del nostro lavoro, premessa in origine la mia presa di distanza, come regista Rai, da quanto andato in onda, non posso non essere moderatamente solidale coi colleghi esterni; anche se certe cose, qualunque ne sia la causa, non vorrei più vederle, come spettatore ma anche come addetto ai lavori. So invece che le rivedrò.
Come si può notare, sembro aver trascurato un aspetto per nulla secondario. L’ho solo lasciato per ultimo: non tutti hanno le stesse qualità in regia, come in tutte le altre attività umane.
Dario Barone (regista Rai)