Non si accettano i momenti difficili del calciatore. È una conseguenze del nuovo rapporto con i consumi dove la fedeltà al consumatore è fondamentale. Non si è più abituati al contrario
Per parlare di Insigne e noi tifosi sarebbe bene partire da una nuova frontiera della sociologia dei consumi.
Per anni nel rapporto con il consumatore si è posto a tutte le aziende del mondo uno e un solo obiettivo, quello di avere la loro fedeltà. Dall’inizio del nuovo millennio in avanti i loyalty programs si sono succeduti senza soluzione di continuità.
In questo cammino ormai ventennale però è emerso un nuovo canale, diventato in breve tempo un ecosistema a sé stante, il digitale, che ha cambiato tutti i parametri. La mobilità digitale di un consumatore è molto più ampia e volatile rispetto a quella a cui eravamo abituato in era pre-internet. Quelli che sono chiamati infoshopper possono scegliere fra tante opzioni in un arco di tempo brevissimo, visitando ad esempio 10 siti in mezzora, facendosi guidare dall’elemento economico (in gergo, i money saver), oppure dalla semplicità di acquisto (i pragmatic). La rivoluzione digitale nel mondo dei consumi ha modificato la prospettiva delle aziende, infatti oggi insieme alla fedeltà dei consumatori, sempre importante, è fondamentale anche la “fedeltà al consumatore”. Come si persegue? Mostrando e facendo vivere davvero i valori aziendali in tutta la loro forza, brillantezza, costanza e onestà, oltre a trasformare dati e processi complessi in un’esperienza d’acquisto sempre più semplice e appagante.
Cosa c’entra tutto questo con Insigne? Quando parliamo dei calciatori attuali li marchiamo subito di infedeltà congenita.
Reputiamo la fedeltà del calciatore ormai quasi una chimera perché tutti sono in caccia di soldi e vittorie. Siamo noi quelli fedeli alla squadra, ai suoi valori e ai calciatori che li incarnano. Non ci poniamo per niente il problema della “fedeltà al calciatore”, ovvero la predisposizione nostra nell’accettare tutto quello che è un calciatore, come le aziende devono fare secondo il nuovo approccio al consumatore prima descritto.
Vogliamo la fedeltà del calciatore, integerrima e senza macchia, ma non offriamo nessun briciolo di fedeltà, quando il calciatore stesso è in difficoltà atletica, ha problemi con la società, vuole più soldi, come normale che sia nel mercato libero. Siamo come un’azienda che, senza muoversi di un millimetro dal suo piedistallo, vuole solo ed esclusivamente la fedeltà del consumatore. Prendiamo Insigne, che non è Maradona ma neanche l’ultimo degli ultimi, e ne facciamo il bersaglio per tutto quello che non si riesce a raggiungere. Imponiamo la fedeltà e quando qualcuno la accetta, noi non lo ripaghiamo. Non è il massimo.