Difficile sintetizzare la partita in maniera più efficace di Pepe Reina: «Avremmo potuto perdere 4-1». Ed è vero. Poi il calcio è un gioco strano. Non basta la supremazia territoriale. Non basta la facilità con cui ti impossessi del centrocampo. Non basta riuscire a mettere in difficoltà a ogni allungo la difesa avversaria. Devi segnare. E lo Swansea non lo ha fatto. Non ha sfruttato un predominio di un’ora. E ha perso. Al Napoli sono bastati due quarti d’ora: quello iniziale e quello finale.
“Vincere aiuta a vincere” ha sempre detto Rafa. Ma è ovvio che non può essere contento della prestazione di ieri sera al San Paolo. Il Napoli ha mostrato quello che anche lui ha riconosciuto come difetto principale: il narcisismo, l’incapacità di chiudere le partite. Tanti gli errori sotto porta degli azzurri – con Higuain, ahimè, protagonista -, persino in quel palpitante finale. E poi per tutta la parte centrale dell’incontro, gli azzurri (beh, ormai ex azzurri) sono spariti dal campo. Peggio che all’andata. Perché all’andata – partita che mi piacque – fu diverso. Loro attaccarono e noi ci difendemmo. Alzando anche le barricate. Una partita anni Settanta. Ieri, invece, siamo scomparsi. Siamo parsi in balia dell’avversario, a lungo incapaci non solo di mettere in difficoltà lo Swansea ma anche di far girare la palla e aspettarli. Così avevo visto poche volte il Napoli. In avvio contro l’Arsenal e in avvio contro la Juventus. Ma, con tutto il rispetto per i gallesi, lo Swansea non è né l’Arsenal né la Juve.
Poi, però, arriva il risultato e cambia tutto. Proprio come aveva scritto Michele Fusco ieri mattina: “Non esistono solo gol belli; un gol vale uno”. E così facendo si vince. Hamsik la fa passare sotto le gambe di un avversario, Mertens prova a metterla in mezzo, un rimpallo favorisce Higuain che stavolta la scaraventa dentro. È il calcio. È anche il calcio. Che magari una sera ti regala quel che altre volte ti ha tolto: ahinoi, il culo di Benitez da queste parti per ora è solo letteratura. Ma siamo fiduciosi. Anche perché, questo sì va sottolineato, la squadra in quell’incredibile finale ci ha messo l’anima.
È stata una serata (questa sì, altro che la bufala sui venti metri indietro di Hamsik) che ha regalato l’abiura finale del 4-2-3-1 con l’ingresso di Britos al posto di Callejon. Cambio che ha mandato in sollucchero gli italianisti alla Mondonico. Quelli che, però, evidentemente poco ricordano del calcio espresso dalle squadre di Benitez. Un allenatore a lungo considerato il Vito Antuofermo del pallone. Ieri sera, d’improvviso, Rafa li ha accontentati. Tre difensori là dietro eppure se Reina non fosse balzato sotto la traversa avremmo preso il gol su cross.
Oggi, forse, a storcere il naso siamo più noi rafaeliti. Con tutte le cautele del caso, ovviamente. Sappiamo che il Napoli è la squadra italiana che ha disputato più partite quest’anno (alla pari della Fiorentina). Giocare sempre a mille all’ora non è possibile. Alcuni elementi, come Callejon che corre da settembre, sono in debito di ossigeno. Però, con buona pace del cofondatore del Napolista, parlare di culo di Benitez ci sembra eccessivo. Magari. In una stagione in cui per contare solo gli infortuni (tutti di natura traumatica) non bastano le dita di una mano. In una stagione in cui siamo usciti dalla Champions con 12 punti. Parafrasando Bennato, possiamo dire che no, chiamarlo culo non si può. Bisogna riconoscere che i cambi li ha azzeccati. Il gol del 2-1 è nato sull’asse Hamsik-Mertens. Così come bisogna riconoscere che Rafa, nelle gare secche, si sente a suo agio. L’Europa è il suo mare. Lì riesce a vincere partite che non meriterebbe. Tutto il contrario di quel che avviene nel campionato italiano. Non è fortuna in Europa. E non è sfortuna in serie A.
Massimiliano Gallo